Se non ora quando, perché no?

Si avvicina la festa di Purim e, come ogni anno, riprendiamo in mano il libro di Ester, un testo che ci parla, tra le altre cose, di mogli da esibire come trofeo, da educare perché rispettino i loro mariti, e poi di una donna inizialmente usata come oggetto di piacere che a poco a poco prende coscienza di sé e si fa soggetto attivo della vicenda, fino a dare il nome allo stesso libro biblico che la racconta. Difficile davvero (e non solo per la Meghillat Ester), affermare che la difesa della dignità della donna non sia un valore ebraico. Dunque mi ha sorpreso che qualcuno si sia scandalizzato per il titolo della manifestazione di domenica scorsa. In mezzo a una folla enorme e festante, tra gente di tutte le età, tra ombrelli e gomitoli colorati, ho provato, anzi, un senso di orgoglio e fierezza a leggere da tutte le parti il motto di Hillel “Se non ora, quando?”. La frase dei Pirkè Avot è decontestualizzata? Per la verità a me sembra che anche il testo che la precede si adatti bene alla situazione di una donna che rivendica la propria autonomia e individualità: “Se non sono io per me, chi è per me? E quando anche io sia per me, cosa sono io?” Del resto l’uso di frasi, o semplici parole, indipendentemente dal proprio contesto è un procedimento tipico del midrash, e ogni frase quando diventa testo canonico di una tradizione viene almeno parzialmente decontestualizzata. Ogni anno durante il seder leggiamo un midrash che trasforma la frase della Torah “Mio padre era un arameo errante” in “L’arameo voleva distruggere mio padre”, che non è esattamente la stessa cosa. E’ così scandaloso se le donne che vogliono difendere la dignità del proprio genere gridano, riprendendo Hillel, “Se non ora quando?”

Anna Segre, insegnante