Qui Roma – Tullia Zevi, modello di leadership al femminile
Come viene affrontata la questione della leadership femminile nel mondo ebraico? Se lo è chiesto rav Riccardo Di Segni ricordando la figura di Tullia Zevi, z”l, a 30 giorni dalla sua scomparsa.
Il problema non è semplice perché la nostra società è molto tradizionalista e secondo Maimonide gli incarichi devono passare di padre in figlio seguendo quindi la linea maschile. Eppure, ricorda rav Di Segni, anche in Israele figure femminili hanno ricoperto ruoli importanti, come per esempio Golda Meir. Come si può eludere questa tradizione? Se l’incarico è elettivo e non vitalizio può essere ricoperto anche da una donna.
La questione non riguarda soltanto il passato, ma è di stretta attualità vista anche la crescente spinta per una modernizzazione nel mondo ortodosso israeliano e americano che porta le donne a ricoprire ruoli fino a poco tempo fa impensabili. Tullia Zevi ne parlava poco, ma era a conoscenza di queste problematiche e dei cambiamenti in atto.
Rav Scialom Bahbout ha incentrato la sua riflessione sulla domanda “vale la pena ricoprire un compito importante o no?” riportando la discussione sulla creazione dell’umanità avvenuta a due livelli, quello alto delle sfere celesti e quello “basso” dei nostri chachamim. Nel primo caso D-o chiede agli angeli se è bene o no la presenza dell’uomo nel mondo. Se si guarda alle azioni negative che questi compie, come per esempio le guerre, allora sicuramente non valeva la pena crearlo. Ma Kadosh Baruchù ha voluto guardare soltanto il lato positivo, le mizvot che l’essere umano compie.
La stessa questione è stata affrontata nelle discussioni tra Hillel e Shammai che sono giunti alla conclusione, con una votazione a maggioranza, per cui sarebbe stato meglio se l’uomo non fosse stato creato, ma visto che ora esiste, deve affrontare le sue responsabilità. L’importante, quindi, è valutare le opere che compie e, nel caso specifico di Tullia Zevi, viste le sue numerose azioni positive, conclude rav Bahbout, è stato un bene che abbia ricoperto il ruolo di presidente dell’UCEI.
Rav Benedetto Carucci, riferendosi alla Parashà di sabato scorso, ha spiegato alcuni significati dello splendore nel volto di Moshè derivante dal dialogo e la condivisione con Dio. Il suo viso si illumina quando discende per la seconda volta dal monte Sinai, ma Moshe non ne è consapevole e quando se ne rende conto, vedendo la reazione timorosa del popolo, si copre con un velo.
A questo passo sono state date diverse spiegazioni. La prima osserva che lo splendore può essere accecante e quindi pericoloso per gli occhi. La seconda interpreta la copertura come una sorta di maschera per nascondere l’estrema umiltà, qualità che è però incompatibile con il ruolo di leadership che richiede autorità e autorevolezza. Secondo la terza spiegazione Moshé si svela quando c’è la luce e si copre quando è buio. La parashà affronta quindi il ruolo della leadership e del popolo che ad un certo punto si sente senza guida; anche se invece c’è ed è una guida che non solo ascolta o parla, ma dialoga con la Divinità e ne rende partecipe il popolo stesso.
Rav Roberto Della Rocca, infine, partendo dal paragone biblico del popolo ebraico alle stelle, ha spiegato che questa promessa divina non si riferisce alla quantità, bensì alla qualità, cioè Israele sarà splendente come lo sono le stelle. Tuttavia la quantità è presa in considerazione con il censimento che rischia però di essere autocelebrativo poiché può dare un senso di forza. Ecco allora che non vengono contate le persone, ma lo si calcola con un contributo monetario. Quest’ultimo consiste in mezzo siclo che simboleggia la parzialità dell’aiuto del singolo. Essa si completa soltanto con l’impegno individuale. Conclude Rav Della Rocca che l’impegno della Zevi, con la quale ha avuto diverse discussioni su argomenti delicati, è sempre stato caratterizzato dall’onestà intellettuale e dal rispetto per le idee diverse.
Elena Lattes