Davar acher – Insufficienza di prove
Si sono lette nei giorni scorsi le anticipazioni del libro del papa che esonerano gli ebrei dal deicidio. Naturalmente da ebrei ne siamo lieti: hanno fatto certamente bene Netanyahu e le nostre autorità comunitarie a rallegrarsi, anche se in sostanza le stesse cose erano state dette con maggiore autorità da una celebre dichiarazione conciliare, la “Nostra Aetate” di quarant’anni fa: repetita juvant.
Se posso permettermi un’aggiunta personale, sono molto sollevato che il papa confermi che non mi consideri individualmente responsabile per un’esecuzione capitale di stile indubitabilmente romano avvenuta, a quanto sembra, 1978 anni fa; anzi per l’acclamazione che alcuni ebrei del tempo (o forse tutti, nei vangeli si dice anche questo, che però non si capisce come possa tecnicamente essere accaduto) ne avrebbero fatto allora, senza poterne peraltro decidere davvero dato che il giudice era romano. Il papa dice che erano solo alcuni, non tutto il popolo, il che è molto ragionevole per ragioni logistiche, e che questo comporta che non siamo tutti colpevoli, noi ebrei. Molto bene, è sempre bello che qualcuno riconosca la tua innocenza. Diciamo che mi sarei un po’ meravigliato del contrario, dopo un’ottantina di generazioni dal fatto. Che dire, nel tempo capitano cose strane, magari anche papa Ratzinger potrebbe avere nel suo albero genealogico qualche goccia di sangue ebraico risalente chissà a otto o dodici secoli fa, come si può essere sicuri del contrario? Meglio applicare l’insufficienza di prove a tutti, a lui e anche a me.
In cambio di questa indulgenza, posso assicurare il pontefice che non lo ritengo personalmente responsabile dei crimini di Hitler, anche se i suoi padri e nonni facevano certamente parte del corpo elettorale che mise al potere quel criminale, più responsabili dunque comunque abbiano votato. Assicuro del resto che neppure se sono ad Atene mi guardo alle spalle pensando di stare nella città degli assassini di Socrate (la sua morta fu votata da un tribunale che in sostanza coincideva con l’assemblea della città), né a Parigi ho paura della frenesia ghigliottinatrice degli indigeni espressa maggioritariamente durante la Rivoluzione. E non serbo rancore agli abitanti della nostra capitale, solo perché gli inviati legali della stessa città condannarono circa 2000 anni fa a morti infami e dolorose molti ebrei fra cui Rabbi Akivà, i resistenti di Gerusalemme (quelli di Masada si suicidarono per non cadere nelle loro mani) e a quanto dicono le fonti cristiane anche Joshuah di Nazaret. Ecco, vi assicuro, non sono mai andato in giro per Campo de’ Fiori gridando “assassini stragisti genocidi” ai passanti.
In realtà il brano di Ratzinger (e la “Nostra Aetate” prima di lui) merita rispetto proprio perché la tradizione cristiana – tutta la tradizione cristiana – non ha affatto applicato nei nostri confronti il criterio di buon senso della responsabilità personale di ogni delitto. Faccio un esempio protestante per spersonalizzare la cosa. Ancora nel 1948 in Germania il “consiglio dei fratelli” delle Chiese evangeliche protestanti (quelle per intenderci che al momento delle leggi razziali avevano espulso dalle chiese senza pietà e denunciato perfino i loro convertiti di origini ebraiche) non trovò miglior commento al proprio coinvolgimento nazista che dichiarare: “Crocifiggendo il Messia, Israele ha rifiutato la sua elezione e la sua vocazione […] Che il tribunale di Dio segua Israele nel suo rifiuto fino ad oggi, è segno della sua pazienza […] Israele sotto giudizio è la continua conferma della verità e dell’effettività della parola del Signore e il perenne ammonimento di Dio al suo popolo. Che Dio non si faccia schernire è il muto sermone che proviene dal destino degli ebrei”. Capite, nel 1948, i capi della Chiesa protestante che era stata pesantemente complice del nazismo… Dei tedeschi che osano scrivere queste parole, quando Auschwitz è stato chiuso da tre anni, devono avere un gran pelo sullo stomaco; ma si sentivano giustificati proprio dalla leggenda che papa Benedetto rifiuta, e per questa smentita non possiamo non essergli grati.
E’ giusto dire però che la dichiarazione del papa non è solo un po’ storicamente tardiva, diciamo di una quindicina di secoli, ma anche insufficiente nel merito. Ho tratto la citazione qui sopra da un libro appena riedito da Einaudi, “Processo e morte di Gesù” scritto dal giudice israeliano esperto di diritto romano ed ebraico antico Chaim Cohn. Il libro di Cohn, uscito in ebraico nel ’68 e in italiano nel 2000 con una bella prefazione di Zagrebelski, mostra che le versioni dei Vangeli sulla Passione non solo sono contraddittorie fra loro, come riconosce anche il papa, ma non reggono a un’analisi tecnico-giuridica, somigliano più alla propaganda che alla cronaca. Cohn dimostra inoltre che il processo, come l’esecuzione, è stato condotto secondo il diritto romano e che nessun ambiente ebraico, neppure quello delle “aristocrazie del Tempio” ancora incolpate da Ratzinger, poteva avere l’interesse e neppure il potere di decidere la morte di Gesù. Anzi Cohn ipotizza nell’azione del sinedrio un ultimo tentativo di salvataggio fallito per la fiera presa di responsabilità dell’imputato. Quanto alle grida sul sangue che dovrebbe ricadere su di noi, Cohn nota che è semplicemente inconcepibile dal punto di vista del diritto romano che un giudice facesse decidere un processo a una folla tumultuante, per lo più di non cittadini, com’erano gli ebrei di Gerusalemme.
In realtà la morte di Gesù va inquadrata nel pugno di ferro di una durissima potenza coloniale com’era Roma nei confronti dei sudditi ribelle, non certo in una scelta religiosa del popolo oppresso contro un leader religioso; l’ebraismo ha conosciuto tante pretese messianiche prima e dopo Gesù, da Bar Kochba a Shabbatai Zvi e non le ha mai trattate da reati. La responsabilità di quella condanna è ovviamente romana: una verità che il cristianesimo staccatosi dalla sua matrice ebraica e in procinto di diventare la religione ufficiale dell’impero romano non poteva accettare e che è stata velata nei diversi vangeli col tentativo di invertire le responsabilità fra oppressi ed oppressori, almeno sul piano morale e teologico, se non su quello storico. Una verità che ancora il Papa non riconosce.
L’attribuzione agli ebrei (e anche ad “alcuni” ebrei, come fa il papa) di una sentenza che secondo la lettera stessa dei vangeli fu pronunciata da un governatore romano monocratico che non rispondeva a nessuno se non all’imperatore, è una menzogna che ha suscitato un’infinita scia di sangue nella storia: qualcosa di cui la Chiesa ha bisogno di scusarsi, non ha certo l’innocenza necessaria per discolpare gli altri.
Non a caso Benedetto XVI cerca in questo suo scritto, senza badar troppo alla filologia, di privilegiare le versioni della storia della Passione meno aggressive nei confronti del popolo ebraico. Tutto sommato, la sua esegesi non ha lo scopo di assolvere gli ebrei dal “deicidio”, ma piuttosto di esonerare i Vangeli dall’acredine antigiudaica che vi si trova e con ciò di difendere il cristianesimo dalle sue responsabilità nei confronti del popolo ebraico. Dal punto di vista storico-filologico e anche teologico, l’operazione è un po’ goffa, perché è costretta a stabilire un gradiente di verità (o di falsità) fra testi di cui pure si difende l’ispirazione sacra, e anche perché non può, senza smentirsi, confessare pienamente il proprio fine (di esonerare il cristianesimo, piuttosto che l’ebraismo).
Nessuno ha titolo per accettare la richiesta di scuse implicita (in realtà molto implicita, direi nascosta) nel ragionamento papale, per tutte le orribili violenze che sono state compiute sugli ebrei col pretesto del deicidio, dai tempi di Costantino fino alla Shoah. Non vi potrà essere assoluzione in questa storia: non per il deicidio che non vi è stato, naturalmente, ma per tutte le stragi commesse in nome di esso, che sono consegnate alla storia, irrimediabili. Ma se il senso di questa dichiarazione non si legge come il tentativo di esonerare il cristianesimo dalla sua responsabilità, il che è storicamente impossibile; né di scusare “tutti gli ebrei” da un deicidio che avrebbero commesso solo alcuni, il che è falso e insensato; ma di dissuadere almeno in parte in futuro i cristiani dall’odio e dalla persecuzione cui si sono abbandonati in passato, dobbiamo certamente esserne grati.
Ugo Volli