Una sola interpretazione?

Mi capita spesso quando espongo le diverse possibili interpretazioni di un testo letterario di sentirmi chiedere dagli allievi: “Va bene, ma qual è quella giusta?”. Se provo a rispondere che non c’è necessariamente un’interpretazione più “giusta” delle altre, mi chiedono quale sia secondo me. E anche a questa domanda non sempre sono in grado di rispondere, perché le interpretazioni mi sembrano tutte ugualmente “giuste”, e non sento la necessità di sceglierne una a scapito delle altre. E’ una forma mentis derivata dalla cultura ebraica, dal midrash? Probabilmente sì: anche se non sfugge la differenza tra il Tanakh e i testi scritti da autori di cui si consocono vita, opere, stile e opinioni, tuttavia mi sembra tipicamente ebraica l’abitudine a considerare valide contemporaneamente diverse letture dello stesso testo. Comunque sia, è una forma mentis che non pare godere di grande fortuna negli ultimi tempi, almeno a giudicare dagli esempi di test e verifiche proposti da molti libri di testo, che a loro volta si attengono alle indicazioni fornite dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi): mi è capitato spesso di leggere quesiti in cui si chiedeva agli allievi di scegliere l’interpretazione “giusta” tra tre o quattro che potrebbero essere tutte altrettanto valide (e magari all’alunno ne potrebbe venire in mente una quinta). Capisco le esigenze di omogeneità e trasparenza nella valutazione, ma in nome di queste non si può far passare l’idea che per ogni testo esista sempre solo un’unica interpretazione “giusta”. Si correrebbe il rischio, per valutare correttamente le conoscenze letterarie, di far perdere il gusto per la letteratura.

Anna Segre, insegnante