Davar Acher – La nostra solitudine

Leggendo le notizie della strage di Itamar, mi tornano in mente immagini viste da bambino, più di cinquant’anni fa, prima dell'”occupazione”: terroristi venuti dall’Egitto o dalla Giordania, che entravano nelle case e sterminavano i nostri fratelli, anche loro “coloni”; e prima ancora le stragi di Ebron e Zfat negli anni venti, con i bimbi estratti dal ventre della madre per ammazzarli meglio; e le Olimpiadi di Monaco e le esecuzioni naziste di vecchi, bambini, famiglie intere, fatte sul posto con la volonterosa collaborazione di ucraini e lituani, polacchi e ruteni, prima che i campi di sterminio entrassero a regime; e i pogrom dei tartari e l’Inquisizione e le stragi arabe del Medioevo.
Ma se si resiste alla vertigine dell’orrore e si resta al quadro di Eretz Israel, resta una guerra condotta con una ferocia inaudita, che non ha pietà o rispetto di nulla e di nessuno, che coinvolge volentieri gli innocenti, colpevoli però di essere della razza nemica.
Resta anche la straordinaria freddezza di fronte al crimine dell’Occidente che distoglie lo sguardo e certo non si scandalizza per cinque ebrei sgozzati come di una casa costruita in una “colonia” o di una sentenza di tribunale che restituisce la sua proprietà a un ebreo in un quartiere che si vuole per qualche ragione “arabo”.
Si dice che quella palestinese è una causa di liberazione nazionale, una sorta di Risorgimento: ma chi potrebbe immaginare Garibaldi o Bixio o perfino Oberdan, che effettivamente progettò un atto terrorista contro l’Imperatore Francesco Giuseppe, entrare in una casa austriaca e sterminare una famiglia? Si parla di “Resistenza” ma qualcuno è in grado di pensare a Longo o Galimberti che prendono un neonato e lo sgozzano con le loro mani, come un agnello?
C’è qualcosa di così orrendamente sanguinario in questo gesto di sgozzare (che è rituale, lo stesso che fu applicato a Pearle e a Fabrizio Quattrocchi, l’italiano sequestrato in Iraq e a tanti altri). E’ la trasformazione del nemico in bestia, la sua eliminazione rituale oltre che fisica. Al valore rituale del sangue versato corrisponde una esaltazione del gesto: essere “martiri”, cioè assassini è un onore vicino alla santità. Ai martiri non solo la “violenta” Hamas, ma anche la “pacifica” Autorità Palestinese consacra piazze, scuole, impianti sportivi, li esalta nei libri di scuola e in televisione, educa i bambini a imitarli. Con gli accordi di Oslo l’OLP si era impegnato a smetterla, ma non l’ha mai fatto. Su questo Palestinian Media Watch ha raccolto una documentazione imponente.
E’ possibile fare la pace con gente del genere (che considera “occupazione” tutta Israele non solo la Giudea e la Samaria? Io non credo. Non per il tempo prevedibile, come pensare di avere per “buoni vicini” una popolazione che ha questo culto della morte, come fare con loro “ponti e non muri”? Ma tutto il mondo la vuole, chiede insistentemente “concessioni”, abbattimenti di “muri”, rinunce a strumenti difensivi come i check point o la barriera di sicurezza, aperture delle zone come Gaza, dove si annidano i terroristi più organizzati.
Alcuni ci dicono apertamente che “Israele è una parentesi destinata a chiudersi” (Chirac) o che gli ebrei debbono “tornare a casa in Europa”, dove peraltro sono sempre meno benvenuti. Sono gli stessi che titolano sui “coloni” uccisi, come se abitare in una casa al di là della linea armistiziale del ’49 fosse un crimine capitale.
In tutto questo vi è di nuovo una grande, terribile solitudine ebraica, paragonabile a quella delle persecuzioni cattoliche, o della seconda guerra mondiale, quando sembrava non esserci davvero dove andare. E’ raggelante il sostanziale silenzio, la freddezza con cui i giornali italiani, i politici europei, i grandi intellettuali che parlano contro “la violenza israeliana” e la paragonano al nazismo, per non parlare dell’opinione pubblica araba, per esempio delle caramelle distribuite a Gaza. Non si può non pensare che, come la generazione dei nostri padri e nonni, anche la nostra è soggetta a una guerra di distruzione (contro gli ebrei, non “solo” contro Israele). E che il passato non ha insegnato nulla anche ai più volonterosi e buonisti democratici, dolenti per la Shoah ma silenziosi su Israele, che siamo di nuovo terribilmente soli ad affrontarla.

Ugo Volli