Dna…
Per la prima volta dopo 67 anni questa mattina il nome di Marco Moscati è stato citato nella lunga lista dei caduti alle Fosse Ardeatine e intorno alla sua tomba, non più di ignoto, è stato possibile recitare un Izkor e un Kaddish. Per arrivare a questo risultato è stato necessario un lungo iter burocratico e una ricerca del DNA sui resti dei caduti e sui familiari superstiti. E’ il progresso scientifico che rende possibili oggi accertamenti un tempo impossibili. Ma questo pone dei problemi nell’ambito della halakhà, la legge religiosa. Una prima questione è l’attendibilità del DNA; su questo c’è molta discussione, che dipende in particolare dalla finalità degli accertamenti; se l’indagine serve a liberare dal vincolo matrimoniale una presunta vedova, la prova, insieme ad altre più tradizionali, è considerata affidabile; è quanto è successo ad esempio per alcune vittime dell’attacco alle Torri Gemelle di New York, non altrimenti riconoscibili. Un altro problema è se sia lecito aprire una tomba, prelevare (per il tempo necessario all’indagine) un piccolo campione di osso e farlo esaminare, perché tutto questo potrebbe essere offensivo per il corpo della vittima; la risposta anche in questo caso è quella della finalità; se lo scopo è quello di onorare la vittima, identificandone finalmente il corpo e dandogli una sepoltura decorosa con un nome, dove si possa far visita e pregare, la procedura è permessa; è quanto ha stabilito per esempio il precedente Rishon LeZion rav Bakshi Doron per le vittime dell’attacco al convoglio diretto all’Hadassa nel 1948. E’ sulla base di queste considerazioni che è stata consentita l’indagine alle Fosse Ardeatine.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma