Qui Roma – Fosse Ardeatine, i nomi del dolore

Tantissimi giovani, studenti delle scuole della Capitale, ma anche di istituti di altre città d’Italia, da Parma a Ostuni a Torino per partecipare alla celebrazione del sessantasettesimo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha deposto una corona in onore delle 335 vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, delle quali sono stati poi letti i nomi. Da ieri se ne sono aggiunti due: sono quelli di Marco Moscati e Salvatore La Rosa, riconosciuti grazie all’esame del Dna. Per la prima volta Angelo Moscati, insieme alla sua famiglia, i figli Cesare e Marco, il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, il rav Alberto Funaro e il presidente della Comunità romana Riccardo Pacifici, hanno potuto recitare, subito dopo le cerimonie ufficiali, il kaddish per suo fratello Marco che per sessantasette anni giaceva sepolto sotto l’indicazione di ignoto. Poco prima c’era stato l’abbraccio con il capo dello Stato Giorgio Napolitano che si era soffermato sulla tomba per rendere omaggio a Marco.
Cinque anni fa, il 24 marzo 2006, Carla Di Veroli, allora consigliere delegato alle politiche culturali e alla Memoria dell’XI Municipio partecipò alla stessa cerimonia. Nel rendere omaggio alle 335 tombe del Sacrario si trova a parlare con il nipote di Marco Moscati, Cesare Israel, che da molti anni accompagna suo padre Angelo a pregare sull’unica tomba con la stella ebraica su cui è scritto “sconosciuto”, la numero 329 da sempre pensano che sia quella la tomba di suo zio ed insieme decidono di fare qualcosa per esserne sicuri.
Nel giugno 2006, parte la prima lettera di Carla Di Veroli e della famiglia Moscati al ministero della Difesa, che fra la documentazione prodotta include una lettera autografa di un altro dei fratelli Moscati, ucciso anch’egli alle Fosse Ardeatine, Emanuele, che dal carcere di Regina Coeli fa sapere alla famiglia di stare bene e di non preoccuparsi, che insieme a lui c’è anche Marco. Molti gli adempimenti burocratici da mettere in atto, ma finalmente si giunge all’apertura della tomba e al prelievo di un campione per fare l’esame del Dna che viene svolto all’Università di Tor Vergata. Purtroppo tutte le aspettative vengono deluse quando si scopre che chi riposa nella tomba numero 329 non è Marco Moscati.
Ma Carla Di Veroli non demorde, coinvolge la Comunità Ebraica di Roma, l’Anfim e il ministero, e si giunge alla decisione di aprire le rimanenti undici tombe rimaste senza nome. Gli ostacoli incontrati lungo questo periodo sono tantissimi, una corsa contro il tempo. La battaglia coinvolge anche l’allora sindaco di Roma, Walter Veltroni. Ma alla fine ci si riesce e i Dna delle undici salme sono prelevati e conservati in una banca dati. Il resto è storia attuale le analisi che questa volta sono state svolte dal Ris, il Reparto investigazioni scientifiche dell’arma dei Carabinieri, giungono a scoprire a chi appartengono i Dna di due vittime dell’eccidio: Marco Moscati che riposa nella tomba 283 e Salvatore La Rosa, nella 273.
Ora si riparte per scoprire dove sono sepolti anche tutti gli altri. Mancano all’appello fra gli ebrei Cesare Calò, Marian Reicher, Bernard Soike e Heinz Erich Tuchmann, e fra i cattolici Alfredo Maggini, Remo Monti, Michele Partiti e Cosimo De Marco, che probabilmente sarà il prossimo corpo riconosciuto dal momento che i familiari si sono appena sottoposti all’esame del Dna. “Il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha promesso che farà un appello alle Comunità ebraiche europee visto che alcuni degli scomparsi appartenevano probabilmente a famiglie residenti all’estero”, dichiara Carla Di Veroli a margine della cerimonia.
“La ricerca storica va avanti ed è fondamentale per alimentare la cultura della Memoria: si spera che presto, grazie alle indagini sul Dna, oltre all’identificazione di due vittime delle Fosse Ardeatine che non avevano ancora un nome altre possano essere riconosciute” ha dichiarato il sindaco Gianni Alemanno partecipando alla cerimonia. “Dobbiamo fare in modo – ha aggiunto Alemanno – che attraverso la ricerca storica si recuperino tanti frammenti di verità: è un dovere che dobbiamo compiere fino in fondo”. “Le vittime delle Fosse Ardeatine “si sono sacrificate per mantenere viva l’identità italiana”, insieme a tante altre persone che “anche nei momenti più bui e drammatici hanno combattuto per i valori profondi della nostra democrazia”.

Lucilla Efrati