Quando il profilo su Fecebook racconta troppo di noi e di chi ci è vicino
C’era una volta lo spionaggio doc, quello fatto d’infiltrazioni, travestimenti, delazioni… Dopo la Shoah, in tempi di pace, la raccolta d’informazioni sensibili sugli ebrei era divenuta un serio problema. I nuovi antisemiti, fingendosi ebrei o “filo”, dovevano sudare sette camicie per infiltrarsi tra la gente e raggirare per l’ennesima volta, elementi resi scaltri a suon di persecuzioni. (i lenti, gli ingenui e i creduloni, erano ormai già nel vento). I reduci erano divenuti diffidenti persino con i veri “filo-ebrei”, “chi si è scottato con l’acqua calda ha paura pure di quella fredda” era il disincantato mantra dei loro anziani. Un accanimento fatale, puntuale quel ritrovarsi capro espiatorio dell’aguzzino di turno. La cosa rievoca in parallelo l’altra perenne guerra, quella di uomini contro topi: illimitati i modelli di derattizzazione messi a punto per liberarsi degli sgraditi roditori, che per l’infausto primato di super-ricercati son divenuti ormai allenatissimi a “fiutare” ogni tipo di trappole: dallo storico cubetto di groviera con molla, alle colle impiastriccianti, dagli allagamenti fognari, al cibo con vetro tritato, ai veleni al gusto di… sistemi volti regolarmente a sterminarne il maggior numero d’esemplari, ma mai tutti!
Fu proprio accomunando ebrei e topi in un capolavoro a fumetti chiamato MAUS, (topi in tedesco) non senza suscitare aspre critiche, che negli anni ’80 Art Spiegelman americano figlio di sopravvissuti, vinse il Pulitzer, Subito a ruota Hollywood a ribadire il concetto con Don Bluth e il suo acclamato: Fievel sbarca in America, a conferma che il parallelo su intraprendenza, astuzia ed indistruttibilità identificato in ebrei e topi, confutava le analogie, se non altro nelle dinamiche forzate, non appena si apre la stagione di caccia all’ebreo. Allorquando, “l’industrioso” cervello di un commerciante, artista, professionista, viene arruolato a forza per assicurare la protezione della propria integrità fisica, quando non di un’intera famiglia. Braccati per millenni senza sconti, mai accaduto che un carnefice infetto da morbo ebreicida, abbia lesinato su mezzi, uomini, scrupoli e fine ultimo: dichiarando come un giocatore di biliardo la buca dove avrebbe fatto carte false pur di mandarci la palla. Titolati geni del male come i nostri persecutori, non fanno ricorso a falsi perbenismi a diplomazie vellutate, annunciano da subito e pubblicamente la propria sincera aspirazione allo sterminio totale. senza doppisensi (ricorda qualcuno?!) .
Eppure, a ripetizione nella storia, in barba a questi poteri ultra forti che a turno li tallonavano, sfuggendo a volte per miracolo, in altre rocambolescamente, alla fine la massa puntualmente si salvava, come in un film con l’Happy end, si scongiurava per miracolo il totale genocidio. (E questo per 20 secoli! Ora vallo a dire agli Etruschi, agli Unni, ai Sumeri, ai Volsci o ai più recenti Biafrani.)
In tempi di guerra invece, le tecniche per snidare gli ebrei divenivano di sicuro più aggressive, al primo posto, il jackpot era ovviamente mettere le grinfie sugli schedari delle comunità. Alla fine del ’43, quasi a fine conflitto, il Rabbino Zevi Koretz di Salonicco, consegnò ai tedeschi il prezioso archivio, fu così che la comunità della ridente cittadina greca, un tempo definita la Gerusalemme dei Balcani, fu catturata al completo e il 98 per cento di essa finì nei forni. In Ucraina invece, vivendoci gli ebrei da secoli, agli occhi dei tedeschi erano indistinguibili dal resto della popolazione, così crearono uno speciale battaglione di SS locali, resosi tristemente noto per la ferocia, un esempio per tutti: Babi Yar alle porte di Kiew, dove 34mila ebrei, convocati con dei comuni manifesti affissi in giro per il centro, si presentarono spontaneamente sulla piazza principale, con valigia e valori personali, giusto in tempo per venire assassinati e depredati da tedeschi sorridenti con l’ausilio di spandau e della collaborativa, polizia ucraina, in due soli giorni lavorativi. Sempre in guerra poi, c’era il ricorso alle torture più selvagge di boia specialisti, usati per far confessare nascondigli di amici e parenti. Per concludere, l’odiosa figura del delatore, personaggio al di sopra di ogni sospetto, a volte malato d’invidia, in altre solo d’avidità. Di nascosto, veniva meno all’etica umana attratto dal fascino delle promesse “mille lire”. Insospettabili cittadini, oggi miti ottantenni che magari danno briciole ai piccioni nei parchi, ma che ai tempi denunciarono la famiglia del piano di sopra o chi si era nascosto in un posto, per banconote intrise di dolore altrui.
Ed eccoci ai nostri giorni, nell’era internet, dove le cose mutano molto, ma molto più rapidamente di quanto la storia abbia mai registrato sinora. Per questo, anche salvaguardare la pelle nella vita reale oggi si lega a equilibri che vanno mutati da subito nel web. Un po’ per iperottimismo, un po’ per scarsa conoscenza del mezzo internet con cui si gioca da troppo poco, non si riesce proprio ad adottare la stessa vigilanza divenuta ormai prassi nella vita reale ed essendo tutti collegati come perline, nel web come nella vita, bastano pochi stolti per mettere in pericolo tutta la lunga collana. Il fenomeno Facebook visto dalla massa come un simpatico giocattolone con cui comunicare, atteggiarsi, condividere, mostrarsi, bighellonare, esibirsi, sognare, abbreviare, conoscere… e altre belle cose, sempre filtrate da anime nel complesso candide, come tutti i nuovi mondi, serba in sé anche zone d’ombra. Risultato: migliaia di pagine di odio, di rabbia, di disprezzo, gente che abitualmente non incontriamo mai ma può egualmente rappresentare una minaccia che in futuro muterà lo spensierato giocattolone, in uno sgradito incubo. Sono per fortuna ancora pochi i nostri nemici per i quali il net rappresenta già una riserva di caccia con prevedibili rischi per noi e i nostri figli, ma ogni settimana si sente qualche nuovo sito nazi che pubblica liste di cognomi, di professori pro- Israele. Io vivo in riva al net, sto vicino al mare, sento chiaro il fermento nelle fila nemiche. I pochi di loro arrivati in avanscoperta, vedono in Facebook, una terra di nessuno ideale per imboscate, per la selettiva schedatura di nomi, cognomi, foto, dove siamo collegati per clan, dove basta trovare una finestrella lasciata aperta e si entra nella cittadella, da lì è possibile il tracciamento delle nostre feste, conferenze, raduni, funerali, gite. Alcuni si credono al sicuro solo perché alla domanda “in che città sei” depistano, mentre basta guardare nella loro lista amici per capire dove sono esattamente, pure il quartiere se non regolano bene la privacy. La stragrande maggioranza ignora che navigando da un sito all’altro, spostandoci come le lumachine, ci lasciamo dietro costantemente una scia invisibile, si chiama: indirizzo Ip, una vera e propria targa del computer in uso e che all’evenienza, a chi sa dove è scritta, ci rende riconoscibili. Quando si entra in un social network come Facebook, Twitter, Myspace, prima di abilitare gli utenti all’iscrizione si compila un questionario dove s’inserisce una lunga serie d’informazioni personali, ma mentre la settimana dopo noi lo avremo scordato, la banca dati del network è settata per custodirli nei secoli! Invece ogni volta che si aggiunge una nuova applicazione, come: “manda baci, cuoricini, cioccolate, guerra tra bande, test psicologici” etc. ci viene chiesto di condividere quelle stesse informazioni con chi ha inventato quel giochino. In tanti accettano senza problemi tanto, come detto, hanno già scordato che nelle info date mesi prima, c’erano l’indirizzo email, il telefono, i componenti della famiglia, la targa…. e spalmano così a casaccio per il net i propri dati personali in un incontrollabile crescendo. Pensate un attimo se le SS avessero avuto la possibilità di scaricarsi nomi cognomi e foto degli ebrei di tutt’Europa, comodamente seduti al quartier generale di Berlino ascoltando Mozart, per poi trasmetterle alla velocità della luce e a costo zero a tutti i comandi d’Europa. Beh, di sicuro oggi non ci sarebbe nessuno di noi a discuterne. Uno tra i peggiori errori su Facebook è rispondere Ebreo alla domanda religione! Alcuni lo fanno come per dire: sono ebreo e me ne vanto! In quel momento danno un vantaggio all’internazionale antisemita, senza guadagnare assolutamente nulla, anzi trascinando nell’autodenuncia tutti quelli della propria lista. Infatti se un nemico fa una ricerca mirata, impostando i criteri di ricerca solo su “religione e città”, gli esce una strisciata di soli ebrei divisi per aree, cioè, pochi secondi e se li trova scremati tra 600 milioni di nomi! Un servizio che avrebbe fatto gongolare l’Inquisizione spagnola. Non meno grave accettare nella propria lista-amici un estraneo e condividere tutte le info solo perché si è presentato come Davide Coen, senza chiedere garanzie da qualcuno che già lo conosce nel mondo reale. Il bello è che vista da Gaza o da Teheran, la diaspora di Facebook appare composta da tante belle pecorelle che pascolano giulive… non regaliamoci, copriamoci la targa con la lana! Come in un brutto film di fantascienza dove la società ha reso gli uomini inebetiti “automi”, nell’era Facebook i nostri generosi ebrei visto che il gioco per i persecutori era divenuto impari, decidono di autodenunciarsi. Dimenticano che oltre ai nuovi radicalizzati dall’Islam restano i vecchi soci dell’Amalek club, distribuiti tra Francia, Russia, GB, Usa, Germania.
In fondo cos’è che ci ha fregato per generazioni? L’inguaribile ottimismo di credere che ormai l’umanità avrà capito di quali e quante ingiustizie si è macchiata in passato, che finalmente lo slogan “mai più” fosse stato assimilato al livello globale, come fermo monito per le nazioni. Niente di più falso.
In quel capolavoro chiamato “il giardino dei Finzi Contini” nella scena che segue la partita a tennis, il gruppo siede attorno a uno degli ultimi festosi tavoli anteguerra, uno dei commensali esprime timori per i venti di guerra che fanno capoccella nell’Italietta ancora spensierata: riferisce di persecuzioni di esecuzioni sommarie, vaghe storie riferite dai quei rari profughi in fuga dal centro Europa. Ne sprigiona un animato dialogo, un altro giovane insorge asserendo convinto: “Ma scherziamo? Macché persecuzione, mica siamo più ai tempi dell’inquisizione qui, ormai c’è la radio, il treno!” Già, la radio e il treno, tecnologici fiori all’occhiello di quell’epoca, che i nazi maledetti utilizzarono per perfezionare lo sporco lavoro che quell’illuso di casa Finzi Contini, credeva impossibile. Se giocato d’anticipo dall’Ingegner Amalek e consorte, professoressa Dalila, oggi il Net potrebbe realmente trasformarsi nella loro arma segreta.
Ho inviato personalmente molti messaggi su Facebook, anche a persone sconosciute, specialmente per indurre quelli con lunghe liste di nomi aperte al pubblico ad avere l’accortezza di chiuderle a qualsiasi islamo-nazi di passaggio, un 20 per cento mi hanno dato retta, malgrado abbia sempre inviato educate richieste, alcuni mi hanno risposto facendo spallucce o anche rispondendo permalosi: chi sei tu per farmi una simile richiesta?O aggressivi: Non ti conosco! Neanche rappresentassi io la vera minaccia da temere!
Ne ho dedotto che fondamentalmente la reticenza dimostrata a essere più prudenti è legata nella maggior parte dei casi ad una piccola micidiale parola di tre lettere: l’ego! Come dire: ho impiegato mesi o anni per raccogliere i miei mille, duemila amici con cui vantarmi, ti pare logico che ora li metto segreti solo per un “presunto” pericolo? Possibile che la città dei Face-balocchi in realtà nasconde un tunnel degli orrori? Serve far capire che è estremamente nocivo possedere un parziale archivio comunitario e considerarlo alla stregua dei bollini del Mulino bianco! Occorre stimolare con urgenza una campagna di educazione alla cybersicurezza, dovremo impegnarci a farla divenire prassi, impartirla e verificarla uno con l’altro, come al Tempio, se ci chiedono di aprire la borsa.
Franco Kalonymos
LE TRE PRECAUZIONI BASE PER UN PROFILO KASHER:
1) NON RISPONDERE EBREO ALLA DOMANDA RELIGIONE
2) SETTARE LISTE AMICI, DATI PERSON. HOBBIES E GALLERIE FOTO, VISIBILI SOLO DA AMICI.
3) NON DARE L’AMICIZIA A PERSONE NON GARANTITE DA QUALCUNO CHE LI CONOSCE NEL MONDO REALE.
COSÌ SI TUTELA LA PRIVACY DEL PROFILO
Per rendere il proprio profilo su Facebook a prova d’intruso basta aprire la pagina di Facebook. Si va in alto a destra e si clicca su impostazioni sulla privacy. Nella pagina che si apre, in alto va cliccato il link “Visualizza le impostazioni”, la quarta voce è “Vedere la lista dei tuoi amici” va settata su Solo amici. Al termine, per controllare, si clicca in alto a destra su Prova anteprima profilo.