Rileggendo Tacito intorno a Purim

Si avvicina l’esame di stato e cominciano le consuete congetture su quali saranno l’autore e il testo latino su cui si dovranno cimentare i ragazzi del liceo classico nella versione che costituirà la seconda prova scritta. Tra i più temuti c’è Tacito, su cui ci si allena già da ora. Difficile immaginare, però, che gli esperti del ministero possano scegliere un testo così inquietante come l’inizio del quinto libro delle Historiae, in cui lo storico spiega a modo suo chi sono gli ebrei; proviamo a leggere qualche frase: “Mosè … introdusse nuovi riti, contrari a quelli degli altri uomini. Colà sono empie tutte le cose che da noi sono sacre, e in compenso è lecito presso di loro quello che per noi è sacrilego … Quelli che hanno accettato il loro tenore di vita seguono la medesima pratica, e per prima cosa imparano a disprezzare gli dei, a rinnegare il sentimento patrio, a non tenere in nessun conto genitori, figli, fratelli …” Sono le accuse tipiche degli antisemiti di ogni epoca, che pochi giorni fa abbiamo letto nella Meghillat Ester: “Esiste un popolo sparso e diviso tra i popoli, in tutte le province del tuo regno, e le sue leggi sono differenti da quelle di ogni altro popolo e non osservano le leggi del re…”
Tacito poi prosegue: “stimano sacrileghi quelli che foggiano con materiali deperibili immagini divine in sembianza umana; quella loro divinità è suprema ed eterna, non raffigurabile e non soggetta a deperimento. Perciò non ne collocano nelle loro città e tanto meno nei templi; né usano questa forma di adulazione verso i re o verso i Cesari”. Anche questo ci ricorda qualcosa: “… ma Mordechai non si inchinava né si prostrava”. Gli ebrei non suscitano antipatia solo perché sono “altri”, ma anche perché rifiutano ogni forma di idolatria, e di conseguenza non sono disponibili ad atti di sottomissione incondizionata verso il potente di turno.
A volte essere antipatici a qualcuno è un buon segno.

Anna Segre, insegnante