Ragionevolezza e speranza all’orizzonte di Israele
Un barlume di ragionevolezza, un appiglio di speranza animano da ieri d’un tratto il dibattito in Israele e offrono nella Diaspora a movimenti d’opinione crescenti quali Jstreet negli USA e Jcall in Europa un impulso positivo all’azione per la pace.
Reagendo all’immobilismo del governo Netanyahu mesi dopo l’interruzione della moratoria sugli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e quindi la paralisi del negoziato di pace con l’ANP, un gruppo vario di israeliani – che potremmo definire esponenti del “centro pragmatico e moderato”, in cui spiccano membri illustri dell’establishment militare e di sicurezza, attivi soprattutto negli anni post-Oslo sino al fallimento dei negoziati di Camp David e Taba del 2000-01 – ha reso pubblico ieri un documento che delinea gli elementi di una “Iniziativa di pace israeliana”. .Gli elementi riprendono i “parametri di Clinton” del 2000, gli “accordi di Ginevra” del 2003 e i termini del negoziato del 2008 fra il governo di Olmert-Livni e l’ANP, rivelati dai “Palestine papers” diffusi di recente da Wikileaks – molto avanzato sulle questioni dei confini, degli insediamenti e dei dispositivi di sicurezza del nascente stato palestinese, ancora irrisolto su quelle della divisione di Gerusalemme e dello status dei rifugiati palestinesi.
Inoltre, contano forma e tempi. E’ un’iniziativa di pace che muove da Israele e si rifa a quell’iniziativa analoga approvata dalla Lega Araba nel 2002, ribadita nel 2007 e ratificata anche dalla World Islamic Conference, un’offerta di accordo e di relazioni diplomatiche normali con Israele, che i suoi governi hanno per lo più ignorato con inutile e colpevole compunzione.
I tempi sono cruciali. L’iniziativa coglie il ribollire delle rivolte nel mondo arabo, l’incertezza circa il loro esito sia democratico interno sia esterno per quanto concerne i rapporti con Israele: l’Egitto è in questo contesto il caso più importante dove le forze in campo nelle imminenti elezioni, cioè i Fratelli mussulmani, i partiti tradizionali come il Wafd e forse anche i movimenti dei giovani anelanti alla democrazia ma ancora esclusi dalla politica organizzata, tendono a un atteggiamento più rigido verso Israele, più solidale con Hamas che non con Al Fatah, e forse a una revisione del trattato di pace del 1979, ma sono rilevanti anche i mutamenti in atto in Siria, Libano e nei paesi del Golfo.
Infine, l’incombere il prossimo settembre, non tanto della possibile dichiarazione unilaterale di indipendenza della Palestina voluta dall’ANP di Abu Mazen e Salim Fayad, quanto del suo riconoscimento da parte di molti paesi in seno all’ONU e del conseguente aggravarsi dell’isolamento diplomatico di Israele. Un isolamento, a cui partiti e opinione pubblica di destra sembrano indifferenti, mostrando di reagire con tracotanza – come la sequenza di recenti misure di stampo razzista contro i cittadini arabi di Israele presentate alla Knesset conferma – e quasi con il narcisismo dell’ideologia del “..il mondo è tutto contro di noi, ma la nostra forza è nell’essere fermi e duri sulle nostre posizioni …”, ma che è pericolosamente autodistruttivo per un futuro di pace e di normalità del paese.
Giorgio Gomel