Qui Roma – Bioetica e Diritto ebraico

Bioetica e Diritto ebraico. La presentazione degli elaborati di Cristian Fuschetto e Mirko Garasic dedicati alla Bioetica e al “Nuovo Pensiero. Per una declinazione levinasiana dell’etica della vita – con un apporto per le complesse questioni morali poste dalla nuova scienza della vita” ha contrassegnato la cerimonia di premiazione dei due candidati, dottori di ricerca, vincitori del Bando di concorso 2009 proposto dal Centro Bibliografico e patrocinato dalla Regione Lazio. Fuschetto è giornalista scientifico e dottore di Ricerca in Bioetica all’Università Federico II di Napoli, Garasic, appena rientrato dagli Usa, vincitore di una Fulbright è stato Visiting Researcher presso le Università di Oxford e Yale, ha consegnato un contributo su una questione di estremo rilievo per l’Ebraismo: “Defending male circumcision: relevant differences in the ethics of male and female circumcision.”
Nel corso della cerimonia hanno affrontato le tematiche evocate da queste ricerche il rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento Educazione e Cultura UCEI, la professoressa Donatella Di Cesare, filosofa, e l’avvocato Daniela Dawan, giurista.
“Il progetto – spiega la responsabile del Centro bibliografico UCEI Gisèle Lévy – è stato presentato alla Regione Lazio nel 2009 ed è incentrato sull’approfondimento di tematiche complesse e ancora da definire, oggetto di studio in quest’ultimo decennio sotto vari profili: quello del supporto tecnico alla vita, quello del diritto dell’infanzia, quello della dignità della persona, quello del rispetto della cultura e della religione, quello della “falsa” morale occidentale che a volte si scontra con delle riflessioni sull’esistenza ispirate a scelte politiche opportunistiche”.
Donatella Di Cesare, ordinario di Filosofia del linguaggio alla Sapienza e di Filosofia ebraica al Corso di Laurea dell’Ucei, ha affrontato, tra l’altro, il discorso della de-responsabilizzazione attraverso il rinvio al parere dell’esperto, come unico referente persino nella risoluzione delle problematiche della Bioetica. Questo problema riappare anche quando, in materia di culto, la decisone viene demandata a specialisti che non sono in grado di affrontare una disciplina nella sua molteplicità.
Si è discusso del “paternalismo” della medicina e dell’autonomia dell’individuo, della liceità della circoncisione maschile (berit milà) patto fondamentale per l’appartenenza all’identità ebraica, sicuramente positiva anche in termini medici, e che in questi ultimi anni è oggetto di attacchi antisemiti che la mettono a confronto con la “circoncisone” femminile in uso presso alcune civiltà islamico-africane.
E’ stato fatto rilevare quanto di diverso esiste tra queste due pratiche. L’avvocato Dawan, Professoressa di diritto processuale alla Scuola di specializzazione per le professioni forensi dell’Università di Milano, ha sottolineato quanto in effetti nel berit milà non ci siano problematiche legate alla lesione fisica dell’individuo in quanto per “lesione” si deve intendere una diminuita funzionalità dell’organo. Una lesione fisica permanente, e il danno aggravato con lesione di minore, sono infatti severamente puniti dal procedimento penale. Ha anche sottolineato che la pratica ha ingenerato dei problemi di liceità in un contesto in cui il “mohel”, o circoncisore rituale, non è necessariamente un medico chirurgo, pur esercitando questa professione (ma non si tratta di “esercizio abusivo della professione medica”). In effetti, ha spiegato l’avvocato Dawan, data la tenerà età dell’infante, non è necessario intervenire “chirurgicamente” come invece si dovrebbe per il rito musulmano, che vede protagonisti i bambini di tredici anni.
Il rav Roberto Della Rocca ha fatto una riflessione sui due attributi (in virtù del Salmo 85 “L’Amore e la Giustizia si incontreranno e si baceranno”), il primo è infatti esclusivo, intemperante, cieco, concentrato e privilegiatore, mentra la seconda è inclusiva, temperante, bilanciata, diffusa e non arbitraria, pur essendo “bendata”.
A differenza della Giustizia della nostra Torà, considerata erroneamente dai non ebrei quale inflessibile e inclemente, infatti, il concetto d’amore espresso dalla cultura maggioritaria, quello del perdono, potrebbe anche essere talvolta “connivente” con il male.