medicina…

La città di Samaria è sotto assedio e gli abitanti muoiono di fame. Fuori dalla città quattro lebbrosi condividono la stessa sorte. L’unica alternativa è andare dal nemico a chiedere del cibo. Ma le possibilità di essere sfamati sono minime rispetto a quelle di essere uccisi come nemici. Che fare? Alla fine i lebbrosi decidono di andare. E’ il dilemma raccontato nella haftarà che abbiamo letto questo Shabbat, da 2 Re 7. E’ sulla scelta compiuta dai lebbrosi che il Talmud basa il principio per il quale è lecito mettere in gioco la certezza di una vita molto breve (chayè sha’à) nel tentativo di poterla allungare in qualche modo, anche se questo comporta un rischio micidiale. Una delle applicazioni più comuni di questo principio è la scelta di un intervento chirurgico in pazienti in condizioni disperate. Nella discussione rabbinica le opinioni divergono: c’è chi dice che le possibilità di salvezza debbano essere almeno del 50 per cento, altri dicono che basti il 30 per cento, altri ancora dicono che qualsiasi possibilità autorizza l’intervento. Per una strana coincidenza la lettura dell’haftarà ha coinciso con una sentenza della Corte di Cassazione che avrebbe stabilito che quando non ci sono speranze di guarigione il medico si deve fermare. La sentenza in realtà non la si conosce in dettaglio, ma già ha sollevato notevoli perplessità; sarà certo interessante studiarla anche alla luce degli sviluppi della halakhà.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma