“Il nucleare, problema politico piuttosto che tecnologico” Intervista a Roberto Mauri, docente di ingegneria chimica
Dopo un dottorato in Ingegneria meccanica al Technion di Haifa, dove è rimasto a insegnare fino a metà deli anni ’80, il professor Roberto Mauri che si è laureato nel 1976 al Politecnico di Milano in Ingegneria nucleare, dopo essersi trasferito negli Stati Uniti, dove ha insegnato fino alla fine degli anni ’90, è ora docente ordinario del dipartimento di Ingegneria chimica dell’Università di Pisa.
Professor Mauri, uno dei principali problemi del nucleare è quello dello smaltimento delle scorie. Crede, come molti, che non ci sia una soluzione definitiva?
Il problema delle scorie è, anzitutto, di tipo economico. Per esempio, il plutonio si estrae da queste; esso rende infatti molti soldi. Il cesio e lo stronzio, invece, vengono messi da qualche parte ad invecchiare, ma potrebbero essere altrimenti recuperati. Bisognerebbe però sostenere dei costi aggiuntivi, che nessuno vuole accollarsi.
Inoltre, per affrontare un altro tema molto sensibile, cioè quanto tempo sia effettivamente necessario affinché i materiali radioattivi decadano, è vero che ci sono quelli che impiegano cento o duecento mila anni; questo significa però che ogni tanto sprigionano un elettrone o un raggio gamma. I materiali più pericolosi, invece, decadono abbastanza rapidamente.
Non c’è comunque dubbio che le scorie vadano smaltite ed è altrettanto innegabile che tale problema venga spesso accantonato.
Three Mile Island e Cernobyl. Due catastrofi dovute a un errore, ad una mancanza dei tecnici. Poiché il fattore umano è cruciale, ritiene che l’Italia sia in grado di formare un personale adeguato?
Io penso di si. Uno sbaglio come quello di Three Mile Island fu dovuto ad un comportamento assolutamente criminale. In quella centrale gli allarmi si potevano spegnere, cosa che fu fatta e che oggi, per fortuna, non è più possibile, senza quasi badare al perché questi si fossero azionati. Piuttosto, si sarebbe dovuto spegnere il reattore, ma questo avrebbe comportato la chiusura dell’impianto per una settimana, con tutti i costi conseguenti. Three Mile Island è stato un classico esempio di stupidità.
È sul caso del Giappone che rimango perplesso; il problema fondamentale del nucleare è un eccesso di regole che ha costretto i progettisti ad essere eccessivamente conservativi, al punto da rendere il risultato finale meno sicuro. L’esempio del motore diesel di Fukushima che sarebbe servito per pompare acqua in caso d’incidente e che si è guastato ne è un esempio lampante: a mio avviso, si sarebbe potuto usare il motore diesel di una nave; quelli sono super collaudati, si sa che funzionano. Ma non andava bene, perché non soddisfaceva tutte le caratteristiche richieste; si è quindi dovuto progettare un motore nuovo, che è un operazione molto complessa. Quindi, per non accontentarsi di quello che offriva il mercato, la conclusione è stata di rendere meno sicure le centrali. Il problema presentatosi a Fukushima oggi verrebbe comunque superato dalle nuove centrali, perché si metterebbe sul tetto dell’impianto una specie di piscina e, in caso d’incidente, si fa esplodere tutto. Una soluzione di certo non high tech, ma dovrebbe funzionare.
Rimane ancora il problema dell’uranio: molti stimano che le riserve entro cinquant’anni si esauriranno.
Non credo; le riserve di uranio finora conosciute sono molto abbondanti, ed è probabile che accada proprio come per il petrolio; cioè, quando ce n’è bisogno si va a cercarlo. Ricordo che 6 anni fa, parlando con un mio amico che lavorava per la Saipem, il gigante mondiale per la costruzione di oleodotti, gli chiesi quanto petrolio ci fosse ancora, e mi rispose che sarebbe finito entro una ventina d’anni. L’ho rivisto 2 anni fa e gli ho fatto la stessa domanda; gli anni erano diventati 40: visto che il prezzo saliva e conveniva averne, sono andati a cercarlo e l’hanno trovato. Così è probabile che avverrà per l’uranio, che, come ho già detto, è comunque molto più abbondante; inoltre, come tutti i metalli pesanti, è distribuito in maniera abbastanza omogenea sulla crosta terrestre e, quindi, non si dovrebbe nemmeno andare troppo lontano a prenderlo.
Molti paesi del Medio Oriente, come gli Emirati Arabi, nonostante “navighino” sul petrolio si sono decisi a costruire delle centrali nucleari. Ritiene che anche per Israele quella sarebbe una strada conveniente?
Israele ha un problema politico, di terrorismo, che non dev’essere mai sottovalutato. Sono certo che disporrebbe però di tutte le capacità per costruire una centrale. C’è di buono che è un paese piccolo, e non ha quindi bisogno dell’apporto di grandi quantità di energia.
Anche la Svizzera non è molto estesa, ed ha però otto centrali..
Che non usa, ma tiene just in case.
È d’accordo con quanto ha detto l’Annunziata, durante un’intervista a “Che tempo che fa” del 12 marzo di quest’anno, cioè che”la storia del nucleare è un problema di non fiducia nei politici… perché le tecnologie nucleari sono talmente sensibili che per dire di si… devi essere assolutamente certo dell’integrità di uno Stato, che [i politici] non imbroglino.. È coinvolto un problema di fiducia politica, prima ancora che nelle tecnologie”?
Sono pienamente d’accordo. Per esempio, la clausola del referendum del 1987, che trovo oltremodo sciocca, e che vieta ogni tipo di ricerca sul nucleare, è stata faclmente aggirata. Noi, infatti, a differenza di altri paesi, abbiamo mantenuto dipartimenti d’ingegneria nucleare. Su queste cose bisogna decidere: se si vuole puntare su questo tipo di energia bisogna sviluppare un progetto scrupoloso. Ha ragione l’Annunziata; se una settimana dicono una cosa e la volta dopo dicono il contrario.. Non sono mica seri!
Tommaso De Pas