Profughi
Una settantina di morti, corpi trovati su una spiaggia libica e subito sepolti. Avevano preso il mare evidentemente su un’imbarcazione non adeguata per raggiungere l’Europa, la salvezza, magari una delle belle spiagge del Sud Italia. Una non notizia, per tutti. Ci si occupa di guerra, ci si occupa di emergenze politiche fatte di riforme mancate, dialettiche sinistra-centro-destra, crisi finanziarie, nucleare sì/no. A nessuno, ma proprio a nessuno, importa di sapere chi erano questi esseri umani, cosa cercavano e non hanno trovato, perché e come sono morti, come fare per evitare che accada ancora. Notizia di cronaca nelle pagine interne dei quotidiani, una tantum. Poi il silenzio. Non parla la politica, non parlano i giornalisti, tace la Chiesa, tacciono i pacifinti sempre pronti a manifestare, e pure le comunità ebraiche – che di profughi se ne intendono essendo figlie storiche di questa esperienza – non fanno sentire a sufficienza la propria voce. Si può derogare all’imperativo talmudico “chi salva una vita salva il mondo intero”? Non si può. E se certamente non abbiamo la bacchetta magica né possiamo pretendere di risolvere l’intricato ginepraio che si è aperto in nord Africa, possiamo però alzare la voce in pubblico per dire che abbiamo visto, che sentiamo il grido di dolore di un’umanità disperata, che non accettiamo il mercanteggiamento politico delle vite dei profughi (clandestini o rifugiati che siano). Figli di migrazioni e di diaspore epocali, abbiamo il diritto e il dovere di affermare la dignità delle donne e degli uomini che cercano aiuto attraversando il Mediterraneo. Ne va delle loro vite e della nostra storia, ne va della dignità umana di fronte alle pochezze della politica italiana (e francese).
Gadi Luzzatto Voghera, storico