Pesach…
La full immersion, l’immersione totale nei riti di Pesach non deve far dimenticare l’enorme carica di idee e di aspirazioni alla libertà dalla schiavitù che questi riti trasmettono. Come “in ogni generazione ciascuno deve considerarsi come se fosse uscito personalmente dall’Egitto”, così in ogni generazione l’aspirazione alla libertà trasmessa dalla storia dell’Esodo impatta duramente sia sull’identità ebraica che sul modo con cui gli altri interpretano le aspirazioni ebraiche. Per molti ebrei l’aspirazione alla libertà è l’essenza dell’ebraismo e di conseguenza praticano l’essenza e trascurano l’ebraismo. Per molti altri che lottano per la libertà o per quella che pensano sia la libertà il fermento ebraico è un ricordo del passato, o qualcosa da cancellare, e la presenza ebraica attuale è tradimento della storia e incomprensione dei suoi luminosi progressi. Pesach sembra fatta apposta per rivivere questo drammatico teatrino, ogni anno in forma diversa, ora religiosa, ora politica, ma nella sostanza sempre uguale. Distinguendo nettamente tra buoni e cattivi, o tra “oppressi e oppressori” (come ha detto una madre in questi giorni famosa), emarginando, colpevolizzando e deligittamando chi osa pensarla diversamente e usa buonsenso e parole di pace; non ponendosi “quattro domande” ma dando solo una risposta. Ma Pesach, oltre a essere la festa delle azzime, è la festa delle domande.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma