qedoshim…
Ecco un piccolo esempio di dialettica ebraica. Su un motivo attuale, di cui già si è discusso qui ieri: il sacro o il santo, titolo della parashà di questo Sabato, che inizia con il precetto, o la sollecitazione ad essere qedoshim (Lev. 19:1), sacri o santi, al plurale. Un termine che indica una condizione speciale, separata, ma che la tradizione interpreta in modi differenti. La sacralità si realizza, secondo alcuni Maestri, nell’osservanza di alcune norme specifiche come quelle che vengono elencate subito dopo nel testo; secondo altri Maestri, nell’astensione dai divieti sessuali specificati al capitolo precedente; secondo altri ancora dall’astensione dagli eccessi, perché anche l’indulgenza eccessiva nella frequentazione delle cose permesse può portare a comportamenti aberranti; altri ancora spiegano che la separazione/santità deve essere visibile, quindi non basta astenersi ma bisogna segnalarsi con atti e segni (come tzitzit e tefillin). L’invito/precetto alla santità (se sia un precetto a parte è oggetto di discussione) è rivolto “a tutta la comunità dei figli d’israele”, e anche qua si discute perché; c’è chi lo spiega come un messaggio agli stranieri che si convertono e vengono ad abitare in mezzo a noi, che non dovranno limitarsi ad osservare i divieti sessuali, ma dovranno seguire tutto, a cominciare dal rifiuto dell’idolatria; qualcun altro più semplicemente spiega che il modello della santità non è destinato e rivolto a persone eccezionali, ma ognuno può realizzarlo. Qedoshim tihiu. “Siate Santi”, tutti quanti.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma