Cosa si può cantare?

Quest’anno il settimo giorno di Pesach (data del passaggio del Mar Rosso) coincideva con il 25 aprile; Rav Somekh nella sua derashà ha proposto un interessante parallelismo tra le due circostanze: in entrambe convivono da una parte la gioia per lo scampato pericolo e il ringraziamento per la miracolosa salvezza, dall’altra il monito “Non gioire quando il tuo nemico cade” (Proverbi 24, 17). Nel caso di Pesach nel settimo giorno leggiamo la Shirat Ha-Yam, la Cantica del Mare intonata da Mosè e dai figli di Isarele, però negli ultimi sei giorni non recitiamo l’Hallel completo. Anche intorno al 25 aprile sono nate discussioni, con tanto di proibizioni, su cosa fosse o non fosse opportuno cantare. A chi è abituato al nostro Hallel incompleto non sembra strano che in contesti pubblici si faccia attenzione a cosa si canta e si pongano dei limiti, però mi ha stupito apprendere che tra i testi sotto accusa ci fosse anche “Bella ciao”, canzone del tutto priva di connotazioni politiche specifiche e che contiene solo un vago cenno a un “invasore” non meglio definito. Chi si dovrebbe offendere, dunque? Al limite i tedeschi di oggi (se si identificassero con l’”invasore”), ma non mi risulta affatto che la polemica provenga da quella direzione. Quando i divieti colpiscono un testo così innocuo viene il sospetto che si voglia mettere in dubbio la stessa ragion d’essere della festa, come se non fosse appropriato prendere posizione per una delle due parti in conflitto, come se non fosse corretto rallegrarsi perché l’Italia è stata liberata e il fascismo e il nazismo sono stati sconfitti. Non mi pare che vietare “bella ciao” sia come dimezzare l’Hallel: sarebbe piuttosto come proibirlo del tutto, o magari, già che ci siamo, abolire anche il seder, per evitare di prendere apertamente posizione contro il Faraone.

Anna Segre, insegnante