Yes, we can
Una pagina storica del ventunesimo secolo è stata scritta nelle ultime ore. Osama Bin Laden è stato ucciso nella città di Abbottabad, a circa cinquanta chilometri da Islamabad, in Pakistan. L’operazione è stata compiuta da un reparto speciale di 14 Navy Seals della marina americana. Il tutto si è svolto in quindici minuti.
Questa notizia, che segna una vittoria della giustizia, giunge nel giorno in cui Israele ricorda i sei milioni di vittime della Shoà. Coincidenza, casualità? O qualcosa di più e oltre? Certo non si possono dimenticare in questi momenti, insieme alle minacce di Bin Laden contro l’Occidente, i suoi strali contro lo Stato di Israele e contro gli ebrei nel mondo. Dunque: non esultanza per la morte del nemico, ma senza dubbio sollievo per una giustizia che si attendeva da anni. Chiamato in mille modi, Osama Bin Laden è stato un fomentatore di odio, un istigatore di divisione e di terrore, un costruttore del male, uno «dei grandi assassini della storia» – come ha dichiarato Shimon Peres. Che il cadavere sia stato gettato in mare non sorprende; nessun paese, né l’Afganistan, ma neppure lo Yemen e l’Arabia Saudita, hanno voluto far spazio alla sua tomba.
Le immagini dell’undici settembre sono impresse nella nostra memoria collettiva. Le manifestazioni spontanee che si sono svolte a Washington, a Time Square, a Ground Zero, sono la testimonianza di una svolta che si compie negli Stati Uniti. È un successo della politica estera dell’attuale amministrazione. Nel dare l’annuncio Obama ha sottolineato che Bin Laden era un omicida, non un leader islamico. L’Islam non è Bin Laden.
Queste distinzioni, che superano lo schema asfittico e fuorviante dello scontro di civiltà, sono giuste perché nel passato recente molte vittime del terrorismo di Al Qaeda sono stati islamici; ma sono anche particolarmente significative nel delicato contesto della primavera dei paesi arabi in cui la lotta per la democrazia è ancora in corso.
Il ramo yemenita di Al Qaeda, confermando la notizia, ha ammesso che si tratta di una «catastrofe» per l’organizzazione terroristica. La sconfitta, a ben guardare, non sta solo nella scomparsa di Bin Laden, ma nel fallimento del progetto politico di Al Qaeda che evidentemente non fa più presa sulle nuove generazioni.
La vittoria delle democrazie occidentali ha anzitutto un valore simbolico. Per quanto la sua presenza fosse concretissima – la nostra vita è stata in fondo cambiata e sconvolta negli ultimi dieci anni – Bin Laden era considerato inafferrabile al punto da essere diventato quasi un fantasma. E non pochi hanno insinuato che la sua figura fosse addirittura una invenzione. Che sia caduto, e in circostanze chiare, ha creato un senso di vittoria – come se oggi sia stata vinta una guerra.
In realtà è stata vinta una importante battaglia. Bisognerà vedere come reagiranno le cellule disperse di Al Qaeda. E certo la lotta al terrorismo non finirà qui. Ma accanto alla vigilanza per eventuali ritorsioni, possono nutrirsi realistiche speranze di pace.
Donatella Di Cesare, filosofa