Teddy Reno: “Ero braccato, la voce mi ha salvato la vita”
Una chiamata fuori dalla cella poteva essere il segno della fine. Fuggito nel Ferrarese dalla sua città, braccato come ebreo, rinchiuso nel penitenziario di Codigoro nel dicembre del 1944, la confusione dei mesi che precedettero lo sfondamento da parte degli Alleati della linea Gotica aveva fatto finire quel ragazzo alla soglia dei 18 anni fra i detenuti comuni. Ma quanto sarebbe durata? In quel giorno freddo e cupo la differenza fra la vita e la morte era un soffio e infatti si rivelò tale. Spinto nei corridoi dai brigatisti neri, cacciato in uno stanzone, quel ragazzo capì allora che cantare può segnare una vita e anche salvarla. Su un palcoscenico improvvisato e malamente illuminato gli dissero di intonare qualcosa. Di fronte a lui giovani feroci e disperati, ormai consapevoli di come sarebbe finita la guerra sbagliata che avevano combattuto e di come molti sarebbero stati chiamati a pagare per i crimini commessi sulla popolazione civile. Se siamo qui a parlarne, sospesi quasi settant’anni dopo nella luce sfavillante del monte Generoso e della valle di Muggio, in un sereno rifugio elvetico arrampicato sopra Chiasso, subito al di là del confine con l’Italia, è perché quella di Teddy Reno, divo degli anni ruggenti della ricostruzione, cantante, industriale discografico e scopritore di talenti, fu una storia a lieto fine.
Cosa si prova a passare dal terrore alla salvezza?
Evidentemente sollievo – risponde serio – ma vorrei dire che in quei giorni vidi giovani della mia età cui vennero da un momento all’altro i capelli bianchi. Eravamo ricercati, sfuggiti da Trieste e rifugiati in campagna grazie alle conoscenze di mio padre, l’ingegner Giorgio Merk, direttore generale delle industrie Arrigoni che da quelle parti avevano uno dei tanti stabilimenti. In quei mesi terribili si doveva solo sparire e attendere. Mia madre, ebrea, era ammalata e miracolosamente scampò alle ricerche. Mio padre e io infine fummo tratti in arresto come sospetti. I brigatisti neri mi costrinsero a cantare quello che potevano ascoltare i giovani nella Repubblica sociale, Lili Marlene, Camerata Richard, Vento portami via con te. Ero terrorizzato, non so dove ho trovato le forze. Il mio debutto fu la mia salvezza, mi salvò la vita. E da allora salire su una scena non mi ha più fatto paura.
Perché le chiesero di cantare?
Mi avevano sentito durante l’ora d’aria, quando i detenuti potevano allontanarsi un minimo dalla cella. Cantavo per ingannare il tempo, per non impazzire. Mi mancava da morire la radio clandestina che usavo per imparare l’inglese e per sapere cosa accadeva nel mondo libero. Quando vennero a prenderci ero riuscito per miracolo a far sparire tutti i miei appunti sugli orari dei programmi preferiti. E in carcere gli altri detenuti, molti erano dei semplici delinquenti comuni fra i quali cercavamo di mimetizzarci, mi battevano le mani. Pochi giorni dopo eravamo miracolosamente liberi, nella confusione generale eravamo riusciti a tornare nel nostro rifugio in campagna. Tornai a cantare solo quando vidi il primo soldato inglese. La fine della guerra offrì ai sopravvissuti l’occasione di partecipare a una stagione densa di speranze. Finito il conflitto rientrammo a Trieste. La città che aveva lungamente sofferto ed era rimasta sotto la diretta dominazione tedesca tornava alla vita, affrontando un incredibile decennio di amministrazione angloamericana e tornava ad essere un vulcano, un luogo di incontro di genti diverse e ricche di progetti. Ma soprattutto i militari inglesi e americani con le loro band portavano fra la gioventù un nuovo modo di vedere la musica e il divertimento.
Teddy Reno naturalmente è un nome d’arte che nacque in quegli anni. Qual’è il suo vero nome?
Da bambino il mio nome era Ferruccio Merk, poi il cognome divenne Ricordi. Oggi sono Ferruccio Merk-Ricordi.
Perché questa mutazione?
Il fascismo decise, ancora prima di varare le leggi razziste del 1938, di italianizzare il cognome dei cittadini che portavano cognomi di origine non italiana. La famiglia di mio padre proveniva da un’antica stirpe dell’impero austroungarico. Da Merk il cognome fu tradotto in Ricordi. Mia madre, Paola Sanguinetti, veniva da una famiglia ebraica romana di industriali che possedevano le fabbriche di conserve alimentari Arrigoni, dove mio padre lavorava come direttore. Il cognome originario è tornato alla luce quando nel 1968 mi sono trasferito in Svizzera. Le autorità elvetiche hanno voluto vedere tutti i documenti e hanno cancellato gli effetti di quel provvedimento che negli anni Trenta ci aveva tolto il nostro vero cognome.
Lei da oltre quarant’anni risiede in svizzera. Perché?
Sono arrivato in Svizzera mentre infuriavano le polemiche per la mia relazione con Rita Pavone. Lei era molto più giovane di me e io ero già sposato. Volevo sposarmi nuovamente con Rita e a Lugano è stato possibile. Da allora ci siamo fermati in Canton Ticino, un luogo pieno di fascino e di tranquillità, solo a un passo dal confine con l’Italia. Qui sono nati i nostri figli Alex, giornalista radiofonico alla Radio della Svizzera italiana e Giorgio, musicista (dal matrimonio con la mia prima moglie Vania Protti era nato precedentemente l’altro mio figlio, l’attore e regista Franco Ricordi).
E Teddy Reno?
Teddy Reno è nato quando dopo la guerra ho cominciato a cantare nei locali e a Radio Trieste. Avevo ormai deciso di fare il cantante e il musicista. Ma la vera svolta è stata quando sono riuscito a convincere Lelio Luttazzi a venire a Milano con me per fondare assieme una casa discografica. Lo conoscevo appena e lui mi rispose semplicemente: “Sì, andemo”. Era il 1947, avevamo appena vent’anni e tutti ci presero per matti.
E a Milano come andò?
Quando prendemmo un ufficio nella mitica Galleria del Corso, dove avevano sede tutte le case musicali di allora, credevano che fossimo due ragazzini allo sbaraglio. Ma la Compagnia Generale del Disco che avevo fondato con pochi accorgimenti divenne in breve uno dei protagonisti del mercato discografico italiano. Mi aiutò lo spirito imprenditoimprenditoriale ereditato dalla famiglia e anche una certa attenzione per quello che avveniva oltre le frontiere. Quando i dazi tenevano ferme anche per anni le novità discografiche americane noi eravamo rapidissimi a lanciare l’edizione pubblicata in Italia delle stesse canzoni. Cui aggiungevamo composizioni nostre e di nostri amici e repertorio tradizionale italiano.
Com’era l’industria musicale di allora?
Fra il 1948 e il 1961 mi sono affermato come interprete del genere confidenziale con canzoni di grande successo come Addormentarmi così, Trieste mia, Muleta mia, Aggio perduto o’ suonno, Accarezzame, Na voce na chitarra e o’ poco e’ luna, Chella lla, Piccolissima serenata. Nacquero nuove amicizie, alleanze con personaggi straordinari, come l’imprenditore musicale di origine ungherese Ladislao Sugar e innumerevoli altri protagonisti di allora. Mia madre, sulle prime disperata di avere un figlio cantante di musica leggera, fu infine conquistata dalla fama che mi ero guadagnato e a un certo punto l’ho colta vantarsi con qualche amica: “Sono la mamma di Teddy Reno”.
Oltre ai successi personali e in seguito a quello, travolgente, di Rita Pavone lanciata da un concorso per voci nuove inventato da Teddy Reno, lei ha messo assieme una folgorante carriera di attore, di showman radiofonico e televisivo concentrandosi infine sulla sua sulla capacità di scoprire i talenti dei più giovani. Una passione che dura ancora oggi. Sia Rita che io stiamo organizzando iniziative che rilancino la canzone italiana. Fra pochi giorni, all’inizio di maggio, in migliaia di scuole italiane prende avvio la Festa di Gian Burrasca. Io sto lavorando anche su “Forza canzone d’Italia nel mondo”, un tour di 20 capitali mondiali per trovare nel mondo dei milioni di italiani che vivono all’estero l’ispirazione che faccia rinascere la grande musica leggera italiana.
La musica italiana è in crisi?
Chi si trova all’estero e accende una radio può facilmente constatare che oltre il 90 per cento della musica italiana trasmessa risale a molti anni fa. Evidentemente abbiamo perso terreno.
Alla soglia degli 85 anni, ha ancora voglia di cantare?
Altro che. Anzi, non so come, ma mi sembra che mi sia anche migliorata la voce.
E alla festa del Libro ebraico di Ferrara, dove il 9 maggio è ospite d’onore assieme all’attore Arnoldo Foà, canterà?
Se mi hanno invitato forse se l’aspettano. Cantare mi ha salvato la vita, mi ha aiutato a superare gli anni difficili della mia gioventù, mi ha regalato il successo. Perché mai dovrei farne a meno?
Guido Vitale, Pagine Ebraiche, maggio 2011