Tradizioni e traduzioni
La versione dal latino o dal greco è un esercizio strano: i ragazzi si trovano tra le mani un testo di dieci o quindici righe, senza conoscere il contesto e nemmeno l’opera da cui è tratto, e devono tradurlo rispettando esattamente la sintassi, con una precisione che si potrebbe definire maniacale; tutto ciò non tanto per poter apprezzare il significato del testo, coglierne il messaggio, o gustarne il valore letterario, ma per dimostrare la propria conoscenza delle regole grammaticali. Potrebbe sembrare davvero bizzarro, se non fosse sostenuto da una lunga tradizione: così hanno fatto i nostri nonni, i nostri genitori, lo abbiamo fatto noi e lo facciamo fare ai nostri allievi perché lo facciano fare ai loro allievi. Credo si tratti di una tradizione tipicamente italiana. Questo non significa necessariamente che sia una cattiva tradizione, non solo perché insegna a usare la logica, ma anche perché, pur non dando troppo peso ai contenuti, insegna comunque a rispettare i testi e a coglierne ogni aspetto, anche il più sottile: perché è stata usata quella forma verbale? Perché è stato scelto quel vocabolo? Perché quel termine è ripetuto? Sembrerebbe quasi un allenamento per il midrash. Sorprende, però, che una tradizione così consolidata di attenzione alla lettera del testo si sia sviluppata in un paese in cui si considera perfettamente normale leggere e commentare i testi sacri in traduzione anziché in lingua originale.
Anna Segre, insegnante