Davar acher – Antisemitismo e islamofobia

Dato che si tratta di un evento molto ufficiale, tenuto nella sede solenne della Camera dei deputati con l’intervento del suo presidente e di altri illustri politici, vale la pena di formulare qualche pensiero sul convegno che si svolgerà domani su “Antisemitismo e islamofobia” su iniziativa di un’associazione ebraica di sinistra intitolata forse ironicamente al grande storico dello gnosticismo Hans Jonas.
Il presupposto implicito di iniziative come questa è che antisemitismo e islamofobia sarebbero “sostanze che – a fronte di una reciproca estraneità – risultano in qualche modo correlate e spesso sovrapposte” (come si esprimeva già nel 2005 in maniera un po’ contorta quel Tobia Zevi che è organizzatore di questo convegno) e in fondo sarebbero entrambi espressione della stessa mala pianta, l’intolleranza, e che dunque sarebbe compito degli uomini di buona volontà lottare contro di essi. Anche perché, sostiene Zevi oggi, “il pregiudizio anti-islamico, attualmente più diffuso di quello anti-ebraico, si concentra nelle stesse persone che definiamo antisemite”. Insomma vi sarebbero gli intolleranti, gli xenofobi, che applicherebbero agli islamici più o meno gli stessi trattamenti applicati agli ebrei e comunque avrebbero quasi sempre entrambi i pregiudizi. Da queste convinzioni, fra l’altro, viene tutta una produzione pubblicistica che equipara i freni che oggi ostacolano l’immigrazione clandestina alla Shoah. L’ultimo esempio è un articolo del leader sessantottino Guido Viale sul “Manifesto” di quattro giorni fa, che sviluppa nei dettagli questo paragone – ma esso è stato preceduto da moltissimi interventi analoghi, anche di esponenti ebraici.
Qualunque persona di buon senso non può non vedere che in queste ultime posizioni vi è una grande esagerazione polemica: non vi sono in Europa oggi né campi di sterminio e piani di “soluzioni finali” e neppure linciaggi di massa né pogrom, né ghetti, inquisizioni, segni vestimentari di discriminazione, cerimonie di umiliazione statuti civili differenziati per origine etnica o religione e tutto quel che ha subito il popolo ebraico. E’ chiaro che vi sono stati degli abusi criminali e degli episodi di autentico razzismo, ma fra questi e la persecuzione c’è un abisso.
Ma il tema del convegno non è questo paragone estremo, bensì il tentativo di una qualche equiparazione fra antisemitismo e islamofobia. Ma ha senso il paragone? Già le parole indicano differenze profonde: “antisemitismo” è un vocabolo di invenzione ottocentesca, attribuito a un certo Marr e diffusosi rapidamente in tutta Europa. Fino al trauma della Seconda Guerra Mondiale, per oltre un secolo, partiti politici, leader popolari come Maurras o Karl Lueger, intellettuali prestigiosi, non ultima la Chiesa cattolica si vantavano apertamente e letteralmente del loro antisemitismo, lo rivendicavano e lo propagandavano. Del resto prendevano spunto e giustificazione da una tradizione millenaria di antigiudaismo religioso, che parte almeno dai tempi di Sant’Agostino. Antisemitismo ha sempre voluto dire odio per gli ebrei e non altro, semita è un aggettivo riferito a una famiglia linguistica ed è usato qui per eufemismo. L’antisemitismo come sentimento è opposizione, odio, volontà di eliminazione fisica o almeno culturale e religiosa e come contenuto ha un popolo e la sua identità. Si poteva sognare di eliminare gli ebrei perché erano e sono un piccolo popolo, isolato e minoritario dappertutto.
L’islamofobia è un’altra cosa. La parola è di uso recentissimo, coniata sul modello di xenofobia. Indica nella modalità una paura, un timore, un’insofferenza – non una volontà di eliminazione, dato che l’oggetto di questo sentimento, gli stranieri in genere o specificamente il mondo islamico è troppo vasto per poter far sognare anche al più pazzo fanatico la sua scomparsa. Nell’oggetto l’Islam è una religione, un gruppo di culture che condividono usi e valori, e anche una grande solidarietà politica internazionale, che copre oggi diverse decine di stati, spesso potenti e aggressivi, coordinati da un ente poco noto ma molto influente, l’Organizzazione della Conferenza Islamica. Per l’Europa, l’Islam è anche un avversario tradizionale che l’ha spesso aggredita militarmente e che ne è stato colonizzato un paio di secoli fa, salvo ribellarsi e espellere gli europei alcuni decenni or sono. Oggi è rappresentato da masse crescenti di immigranti che, per dirla in maniera molto neutra, stentano o sono restii a integrarsi nelle società europee e ad accettarne i principi fondamentali come la libertà individuale e la parità dei generi.
Il risultato è che settori crescenti della popolazione europea mostrano timore e fastidio per l’Islam, come si vede dalle vittorie di partiti che vogliono limitare l’immigrazione islamica e dalla popolarità del rifiuto dei simboli della loro affermazione (così per esempio le reazioni al referendum sui minareti in Svizzera, o quelli sulle preghiere di massa in piazza). Non voglio dire qui che questa paura sia necessariamente giustificata, ma solo che ha un senso ben diverso rispetto al pregiudizio razziale antiebraico. La razza non c’entra, il sentimento non è evidentemente di oppressione e di superiorità com’è accaduto contro gli ebrei, ma di resistenza e di timore.
Voglio aggiungere un’ultima cosa a queste riflessioni. Spesso i movimenti politici che esprimono questo sentimento di preoccupazione popolare per l’espansione islamica in Europa sono accostati agli antisemiti anche sul piano politico-ideologico. Nulla di più sbagliato: Geert Wilders è un islamofobo, se vogliamo usare questa categoria, ma certo è amico degli ebrei e di Israele, come lo era Oriana Fallaci. Confondere i liberali filoisraeliani con i neonazisti è un errore commesso spesso da giornali e politici. Al contrario, si trascura spesso la dimensione francamente antisemita dei movimenti islamisti e di coloro che li appoggiano per lo più a sinistra. Non si riconosce la simmetria fra i tentativi di boicottaggio delle merci e della cultura israelina con il boicottaggio degli autori e dei negozi ebrei messi in opera dai nazifascisti. Si ignora che nella polemica araba la parola odiata è ebreo (yahud), ancor più che israeliano. Si tacciono i complessi legami storici intrecciati fra nazismo, islamismo, estremismo di sinistra; non si parla dei rapporti intensissimi fra terrorismo rosso e terrorismo islamico, fra caudillismo di sinistra (Castro, Chavez ecc.) e islamismo antrisraeliano e antisemita.
Mi auguro che gli interventi al convegno di Roma, invece di limitarsi al solito buonismo delle intenzioni, abbiano il coraggio di affrontare le questioni vere: il differente carattere religioso e culturale dell’Islam e dell’ebraismo, le diverse forme e l’opposizione etica che corre fra antisemitismo e islamofobia.

Ugo Volli