Davar acher – I fratelli e i razzisti
Dalla lettura di “l’Unione informa” e del Portale dell’ebraismo italiano moked.it ho imparato questa settimana molte cose interessanti. Per esempio che gli attuali “nemici”(fra virgolette) d’Israele non comprendono solo quelli che, in vari angoli della Terra, non accettano l’esistenza del nostro Stato. Il gruppo di questi nemici (questi sì, senza virgolette) comprende anche molti ebrei italiani, in Italia e anche in Israele, “incapaci di liberarsi da superate ideologie colonialistiche”. (lo assicura Sandro Natan Di Castro) Ho poi appreso che “i coloni […] non sono innocentemente e sentimentalmente i “nostri fratelli”, che la solidarietà con loro “rivela una mancanza di sensibilità, di senso della misura e di onestà intellettuale che colpisce” e che questa – anche se dalle elezioni e dai sondaggi non sembrerebbe – è proprio l'”opinione che riflette quella di forse la metà o più degli israeliani” (così Giorgio Gomel, si sa gli economisti hanno fra gli strumenti di lavoro la palla di cristallo). Sono stato informato che “chiunque non sia obnubilato dal fanatismo riconosce l’apporto culturale d’eccellenza recato dall’opera di Moni Ovadia a tutti noi” (Gad Lerner).
In definitiva, anche cercando di non personalizzare il dibattito, avendo espresso l’opinione che le vittime di Itamar – cinque persone, fa cui tre bambini, uno di pochi mesi, sgozzate mentre dormivano pacificamente a casa loro, meritavano tutta la nostra solidarietà e che tutto il popolo di Israele porta le ferite che sono state loro inferte e che in fondo siamo resi tutti coloni (o esiliati) dal fondo della nostra condizione ebraica – capisco ora di essere un nemico di Israele senza virgolette, un individuo senza sensibilità senso della misura e coerenza intellettuale e infine anche un obnubilato del fanatismo. Che dire, mi accontento di questi gesti di fratellanza. Anche perché approvo pienamente i contenuti del famoso striscione “atto intimidatorio e fascista” secondo Moni Ovadia, quello che diceva “Tutti gli ebrei sono nostri fratelli, Ovadia e Gomel no”. Il ragionamento è semplice: chi non dice di non essere “sentimentalmente fratello” dei “coloni di Itamar” di quelli assassinati e anche di quelli vivi: perché potrebbe rivendicare un posto nella fratellanza del popolo ebraico? La rifiuta da solo, dire che non è un fratello degli ebrei non è insultarlo ma ribadire la sua scelta.
E’ curioso che affermazioni del genere che ho riportato siano difese nel nome della libertà di espressione: davvero Gomel e Ovadia hanno diritto di dire agli altri (a me, lo ripeto, senza personalizzare) che siamo fascisti, nemici di Israele, obnubilati, disonesti intellettualmente, e quant’altro – senza che noi obnubilati fascisti possiamo neanche ribadire che non li sentiamo come nostri fratelli?
Ma c’è un problema più grave e difficile da porre, che è la mia riflessione di questa settimana: la differenza fra antisionismo e antisemitismo, che è sempre incerta, dove si pone in questo caso? Un tale che deplora senza pudore che “i coloni”, “edificando case e strutture, costringono l’esercito israeliano a una onerosa opera di protezione” cioè che dà la colpa del terrorismo alle sue vittime, dato che non sono i terroristi, nella sua visione, a produrre la necessità di protezione, è tanto lucido nei confronti del popolo ebraico quanto sono amici delle donne quelli che sostengono che la colpa degli stupri e delle stuprate, che sono troppo sfacciate o spudorate. A me questo atteggiamento sembra proprio non antisionista, ma antisemita. C’è chi uccide e chi sta in divieto di sosta. Ma dato che la vittima è in contravvenzione (secondo il punto di vista di chi parla) e l’assassino è un bravo palestinese che “lotta” per i suoi “diritti”, non deve avere solidarietà e se chiede un po’ di protezione, questa è un’aggravante… Potrò dirlo senza che qualcuno mi soffochi la parola in bocca, naturalmente in nome della libertà di parola? Per essere un fascista obnubilato senza senso critico, a me un ragionamento del genere appare proprio razzista, anche se viene da un ebreo. Anzi, a maggior ragione perché viene da un ebreo.
Ugo Volli