La frontiera di Israele

All’indomani dell’uscita dall’Egitto le tribù di Israele si dividono la terra promessa, ad esclusione della tribù di Levi che viene sostentata dalle altre e abita solo in alcune città chiamate città-rifugio. Il che vuol dire non solo che la terra promessa non può essere totalmente divisa. Di più: quando il popolo ebraico si insedia, preserva in sé, attraverso i leviti, la condizione dello straniero, mantiene quel principio di estraneità che impronta tutte le sue strutture politiche, economiche, religiose. Ai leviti spetta infatti la responsabilità dell’Arca dell’Alleanza e dunque della «tenda della radunanza» in cui dimora la Shekhinà, quella Presenza che non può mai essere presente e, rinviando a una Assenza, impedisce il radicamento e ingiunge ogni volta il congedo.
Il popolo ebraico non è il prodotto della terra, del territorio. Altrimenti finirebbe per sacralizzare la terra, per instaurare un rapporto idolatrico in vista di un radicamento, una fusione, una identificazione. La terra promessa per l’ebreo non è «sacra», ma è «santa». Il suo rapporto è retto da una esteriorità, da una estraneità, da una separazione. La terra è santificata, perché il popolo ebraico se ne separa. La abita in modo diverso dal consueto, normale abitare degli altri popoli; risiede come uno straniero, un ospite. E mettendo in questione il proprio e la proprietà, chiede una volta per tutte diritto di cittadinanza per l’estraneità. È questa, per la Torà, la condizione per la permanenza nella Terra promessa.
Israele rimane nella mondializzazione un resto inassimilabile che irrita la sovrana autocoscienza delle nazioni stabilmente insediate nella terra. Nella sua estraneità Israele resta a testimoniare la necessità di un oltre della storia, la fedeltà alla sua attesa messianica, l’impellenza del ritorno a Sion.
Ben più di ogni altro confine, è questo il bordo che Israele deve preservare. La Terra «di Colui che è Santo» appare più che mai una frontiera lungo la quale, grazie a Israele, può dischiudersi l’avvenire di un nuovo ordine del mondo. È questa responsabilità della sua elezione che attende Israele sull’ultima trincea della terra data per promessa.

Donatella Di Cesare, filosofa