Facciamoci una risata
Potrei scrivere nuovamente delle «baruffe» romane. Qualcuno se ne rallegrerebbe. In un certo senso invidio chi adopera continuamente frasi infuocate, granitico nelle sue convinzioni, roccioso nelle scelte di «campo», turgido negli accenti, sempre tonitruante e stentoreo. Beato lui. Io in queste polemiche mi sento in ogni caso sconfitto, perché ritengo che litigare sia assai più facile che parlarsi, e che quando lo si fa si perde un po’ tutti quanti. Con grave danno dell’ebraismo italiano. Ça suffit. La notizia del giorno sono le elezioni amministrative. Non mi pare opportuno lanciarsi in considerazioni politiche: su queste colonne ci si è spesso occupati di rom, di immigrazione, di moschee. Non per generico interesse culturale, ma perché come minoranza paese questi temi ci interessano, o dovrebbero interessarci. Si è già sottolineato come alcuni accenti della competizione elettorale meneghina fossero completamente inaccettabili: zingaropoli, stanze del buco, campi rom e moschee a ogni angolo di strada. Questa propaganda elettorale – da ieri sotto la lente d’ingrandimento delle autorità europee – non ha fatto breccia nelle menti dei milanesi, che hanno impartito una lezione a tutti noi. Ma c’è un altro aspetto. Mentre le accuse contro Giuliano Pisapia si facevano sempre più terribili, il popolo dei suoi militanti ha cominciato una martellante campagna virtuale in cui lo stesso candidato veniva tacciato di ogni nefandezza: di aver fatto suonare la sveglia troppo forte, di aver rubato le chiavi dimenticate in ufficio, di aver rotto il tacco tra le pietre del selciato. Una saga virtuale divertentissima e, alla fine, assai efficace. Forse questa opportunità ci era sfuggita: che l’arma migliore contro l’intolleranza e il razzismo sia una saggia, benefica risata? Che anche all’interno delle nostre comunità, quando ci infervoriamo in discussioni all’arma bianca, convenisse stemperare e ironizzare? Chi non è d’accordo, una risata lo seppellirà.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas