Antisemitismo e islamofobia, alcuni equivoci pericolosi
A proposito delle discussioni riguardo al possibile parallelo tra antisemitismo e islamofobia (a cui ho rivolto qualche considerazione nel mio intervento di mercoledì scorso), un punto importante da chiarire è che molti fraintendimenti nascono dall’assunto secondo cui ebrei e arabi deriverebbero da un’unica radice, quella dei popoli cosiddetti ‘semiti’, e, in quanto tali, sarebbero colpiti da forme di pregiudizio analoghe.
Cercando di sintetizzare in poche righe un problema che richiederebbe una lunga e dettagliata disamina, facciamo presente che siffatte convinzioni (assai diffuse anche in ambienti accademici e in accreditati saggi scientifici) poggiano su due grandi equivoci di fondo, responsabili di alcuni fra i più grandi errori della cultura moderna.
Il primo equivoco è quello secondo cui, nell’antico Vicino Oriente, si sarebbe formato (e, secondo alcuni, esisterebbe ancora) un grande ceppo etnico, che avrebbe accomunato popoli diversi, ma dall’origine comune (ebrei, caldei, babilonesi, siriaci, arabi ecc.). Questa convinzione ha una data di nascita precisa, che è il 1781, quando August Ludwig Schlözer sostenne che, nella grande area tra il Mediterraneo, la Mesopotamia e l’Arabia, sarebbe stata parlata, anticamente, “un’unica lingua”, da genti che avrebbero fatto parte di “un unico popolo”. Tale idea – pura leggenda, senza neanche un’ombra di fondamento scientifico -, a sua volta, partiva da un’analisi di Leibniz, del 1704 (anch’essa discutibile, ma comunque non priva di alcuni elementi di attendibilità), secondo cui alcune lingue dell’antichità (ebraico, punico, caldeo, siriaco, etiopico) avrebbero avuto dei tratti comuni, tanto da costituire un unico gruppo linguistico, che Leibniz, dalla componente più parlata, chiamò “arabo”. Schlözer, nello sviluppare le conclusioni di Leibniz (che avevano avuto grande successo e risonanza), prese un grande abbaglio, innanzitutto sostituendo all’idea di un gruppo linguistico (che, in una certa misura, c’è stato, anche se non in modo così netto e omogeneo) quella di un raggruppamento etnico (“un unico popolo”, che, invece, non è mai esistito), e poi sostituendo al termine “arabo” la parola “semita”: la quale, rinviando arbitrariamente al racconto del decimo capitolo della Genesi (la discendenza di Sem, Cam e Iafet), ha collegato irreversibilmente la scienza al mito, con conseguenze nefaste per la prima. Da allora, sarebbe stato un ininterrotto parlare, a vanvera, di semiti, camiti e giapetiti (poi trasformati in ariani). Lo stesso Ernest Renan, che, nel 1855, criticò la scelta di Schlözer, notò che il termine “semita” non avrebbe potuto indicare il popolo dei discendenti di Sem, in quanto questi sarebbero stati “almeno per la metà, di origine ariana” (dimostrandosi, evidentemente, ancora prigioniero della “trappola mitologica”).
Il secondo equivoco è del 1873, quando il giornalista tedesco Wilhelm Marr usa, per la prima volta, il termine “antisemitismo” (anziché i più appropriati giudeofobia, antiebraismo ecc.), per indicare l’avversione non già, generalmente, verso i presunti ‘semiti’ (chiunque essi fossero), ma, specificamente, verso gli ebrei, dando così un ulteriore contributo (molto rilevante, in ragione del grande successo incontrato dall’insulso neologismo) alla già notevole confusione.
Non sarebbe dunque male, specie quando si parla ai giovani, chiarire il senso preciso dei termini adoperati (per esempio, “antisemitismo” e “islamofobia”), e magari anche la loro origine storica; e ricordare anche che, non di rado, le parole (come nel caso dei ‘semiti’, degli ‘ariani’ e altre amenità simili) possono rinviare a cose mai esistite nella realtà, partorite unicamente dalla fantasia di qualcuno.
Francesco Lucrezi, storico