Celebrare le sconfitte?

È difficile capire perché mai dovrebbe far parte delle date da ricordare l’anniversario di una sconfitta militare. A dir vero è sgradevole e irritante già la celebrazione delle vittorie, perché rinvia alla guerra passata. Che quest’anno i palestinesi abbiano per la prima volta condiviso l’uso siriano di commemorare la data della Naksa, il giorno della «sconfitta» – che dovrebbe esibire un nesso di continuità inammissibile con la Nakba – è un segnale inquietante.
Tanto più che la sconfitta è stata l’esito di una guerra non subita ma, al contrario, inflitta. Nella Guerra dei Sei giorni – occorre ricordarlo – Israele fu attaccato dagli Stati arabi: Egitto, Siria, Giordania, Iraq. E fu costretto a vincere. Si trovò improvvisamente nel Sinai e a Gaza, sulle alture del Golan, in Cisgiordania, a Gerusalemme. In sei giorni mutò in modo radicale il paesaggio geopolitico del Medio Oriente.
Le notizie degli scontri lungo i confini dello Stato di Israele – notizie che rattristano profondamente chi guarda con speranza alla pace – pongono molti interrogativi. E in primo luogo fanno pensare a un ruolo decisivo della Siria il cui regime dittatoriale ha molto da guadagnare distogliendo l’attenzione dai problemi interni e indirizzandola verso la frontiera con Israele. Gli scontri, un dramma in cui si consuma un uso politico dei palestinesi, sembrano però anche voler rimarcare i confini del ’67 gettando l’ombra di un ritiro forzato.
In tutto ciò resta un punto decisivo da cui non si può prescindere. Israele è uno Stato sovrano, la cui sovranità deve essere esercitata, purtroppo, anche nella difesa delle frontiere. Che cosa farebbe uno Stato europeo se fosse attaccato?
Le notizie che vengono fornite in questi giorni, dalla stampa italiana, ma anche da quella europea, sono spesso introdotte da preamboli inaccettabili: «il giorno della rabbia palestinese…», «David contro Golia» (Golia sarebbe Israele), ecc. Piuttosto che riassumere gli eventi, riandare al passato, offrire il contesto storico, quello della Guerra dei sei giorni, si inseriscono giudizi che tradiscono l’intolleranza verso lo Stato di Israele la cui sovranità sembra di fatto non essere riconosciuta. Questa disinformazione, inconsapevole o strategica, non passa senza lasciare danni. E ha la responsabilità di contribuire ai conflitti.

Donatella Di Cesare, filosofa