Avraham Zecchillo, lo sciamano di Trani
Caro Avraham Zecchillo di Trani, mai avrei pensato di scrivere su di te; io parlavo sempre “con” te.
Eri lo shammash, termine impercettibile da queste parti alle orecchie dei non ebrei, quante volte le scuole ti chiamavano al telefono per visitare Scolanova e cercavano Zecchillo lo “sciamano”…a te piaceva essere chiamato shammash, con quella prosopopea che ti rendeva simpatico; custode, guardiano di Scolanova che era un po’ casa tua. Ancora oggi son pochi coloro che arrivando a Trani si accorgono che sul campanile non c’è più la croce di quella che fu chiesa di Santa Maria di Scolanova; c’è il Maghen David che l’amico fabbro forgiò in tempo record e tu di notte (per non dare nell’occhio) montasti arrampicandoti come un gatto sul tetto della sinagoga. Come me, sei nato nelle nazioni e tornato al tuo popolo e da Nicola diventasti Avraham; eppure eri sempre Nicola innamorato di Trani che raccontava di strani pidjon haben fatti da preti marrani in Sant’Anna (la ex Sinagoga Scolagrande) o anziane che all’Eucarestia uscivano di chiesa e facevano la challà e accendevano le candele la sera del venerdì…
Eri Nicola e Avraham perché ognuno di noi è Jaakov e insieme Israel, ebreo nel senso più profondo ossia colui (cito la libera traduzione di un rav) che litiga persino con D–o e tu litigavi eccome; ma eri buono di cuore, alzavi la voce ma non urlavi perché, a modo tuo, eri un vero gentiluomo. Eri un pozzo di sapere, di cultura vastissima, forse disordinata ma solida, frutto di quintali di libri divorati piuttosto che di studi accademici; ti ho più volte spronato a scrivere ma la scrittura non era il tuo forte, preferivi citare date, nomi, sconosciuti chachamim che si perdono nella notte dei tempi, lontane città dei Balcani dove si trovano ancora siddurim del minhag tranese…sembravi Gurdjeff, lo scrittore di Alessandropoli che citava a memoria opere di 4 mila anni fa. Non avevi un carattere facile, Avraham; ma eri l’uomo più generoso che avessi mai conosciuto. Soltanto lo Shabbath ci fermava quando per mesi scorazzammo per la Puglia alla ricerca di ebrei lontani, che mangiavano taref o sposati con non ebree, che di Kippur andavano a cogliere l’uva o disperati perché a Pesach non avevano matzot e haggadah, che avevano perduto la madre ebrea e volevano tumularla ma di sabato… A costoro abbiamo dato la possibilità di mangiare kasher, di digiunare a Kippur, recitare l’hashkavah e seppellire con rito ebraico. Abbiam dato loro una valida ragione per tornare a vivere ebraicamente in questa regione che odora degli stessi ulivi di Eretz e oggi tanti ebrei pugliesi possono dire di aver fatto Rosh HaShanah, acceso le luci di Hanukkah, mangiato le matzot a Pesach, festeggiato Purim grazie anche a te. Consentire agli ebrei di fare le mitzvot è una grande mitzvah.
Abbiamo sbagliato in qualcosa? Forse siamo stati troppo ospitali con chi non meritava tanta cordialità tutta meridionale e a malincuore debbo darti ragione, Avraham: ci hanno abbandonati. Ma noi abbiamo riaperto Scolanova perché l’ebraismo cammina anche sulle pietre; a Trani ci sono più pietre ebraiche che ebrei in carne e ossa ma, se è vero che un giorno tutti i tabernacoli della Diaspora torneranno in Eretz, allora è giusto che torni anche il tabernacolo tranese.
Una sera eravamo sul porto assieme a un nutrito gruppo di ebrei francesi che desideravano fare minchà e arvit in Scolanova e, passando per i vicoli che danno su via La Giudea, vedendo tante kippoth qualcuno ci salutò dicendo non “benvenuti” ma “bentornati”. Fu allora che comprendemmo la nostra missione; far sì che gli ebrei tornassero a pregare alla sinagoga più antica d’Europa nel paese del Mabit, il chacham di Trani che riposa a Safed. Mi ricordavi spesso che ebreo non è già chi nasce da madre ebrea ma chi avrà il proprio nipote seduto a fianco in sinagoga il giorno di Kippur. È incredibile; sei ebreo oggi non per ciò che sei stato ieri ma per quel che sarai domani. Dicevi che noi abbiamo lo stesso fuoco di Abramo nostro padre, primo gher e primo ebreo ed è vero, ma noi abbiamo avuto un altro asso nella manica: Mino, ossia Shalom Bahbout, il più visionario dei rabbini italiani che, passo dopo passo, ci ha guidati all’impresa di riportare l’ebraismo laddove fu estirpato con la forza brutale 480 anni fa. Scolanova è nostra, nessuno potrà più portarcela via come fecero nel 1541, a Trani siamo stati i primi a muoverci in questo Mezzogiorno che conta ebrei da Sannicandro a Siracusa; passando per sognatori…eppure oggi Scolanova è lì, bella come una bomboniera, decorata di arazzi e parochet come l’hai lasciata il giorno che sei partito da Trani senza sapere che non saresti più tornato.
Non è andato tutto bene tra noi, Avraham; negli ultimi tempi una presenza malvagia si è infiltrata nella nostra piccola comunità dividendoci inesorabilmente l’un l’altro.
Mi hanno riferito che mi stavi cercando, forse volevi parlarmi ancora una volta ma l’ho saputo troppo tardi; non ha più importanza, amico mio, anch’io un giorno o l’altro andrò via da qui, il mio lavoro pianistico mi chiama altrove. Non so se avremo ancora un bel minian in Scolanova, se faremo ancora una di quelle incantevoli tefilloth che ci sobbalzava il cuore dall’emozione; quante cose volevamo fare insieme (centro di studi ebraici, ristorantino kasher) ma non tocca più a noi bensì a chi prenderà le redini e farà camminare al trotto questo cavallo ebraico purosangue dall’accento tranese. Son riuscito a non usare la parola per la quale oggi scrivo su queste pagine perché, se noi chiamamo persino i cimiteri “case della vita”, evidentemente noi alla morte proprio non crediamo. Un’ultima preghiera, shammash; prima di tornare da nostro padre Abramo passa per l’ultima volta da Trani, dà un pò un’occhiata a Scolanova, imbandisci la tevah, impila i siddurim, apri le grosse finestre e controlla che il ner tamid sia acceso. Scusami se ti do quest’ultima incombenza, in fondo sei o non sei lo shammash di Trani, anzi lo “sciamano” come ti chiamavano al telefono, stregone buono e barbuto come Gandalf del Signore degli Anelli o Mago Merlino che ruppe l’incantesimo e dalla bianca pietra tranese estrasse la spada più bella; Scolanova, la sinagoga del paese del Mabit!
Non ti dimenticherò mai, Avraham. Tuo sempre amico, Francesco Israel Lotoro, ebreo di Trani.
Francesco Lotoro, Pagine Ebraiche, luglio 2011
Scalanova, un gioiello antico che chiude il cerchio col passato
“Un campanile su cui svetta un discreto ma evidente Maghen David, l’emblema più éclatante del risveglio dell’ebraismo in atto nel Mezzogiorno d’Italia.” Queste le parole usate da Daniela Gross per descrivere la sinagoga Scolanova di Trani nel pezzo che chiude il dossier dedicato all’affascinante percorso di rinascita dell’ebraismo meridionale sul primo numero di Pagine Ebraiche.
La storia della Scolanova, di cui Avraham Zecchillo era apprezzato shammash, è in effetti piuttosto singolare. Immerso nel cuore di Trani vecchia, in un intrico di meravigliosi vicoli pieni di storia e vitalità, l’edificio nasce nel tredicesimo secolo come sinagoga ma, dopo la cacciata degli ebrei del Meridione, viene trasformato in chiesa per divenire in tempi più ravvicinati centro culturale. Fino al 2007, anno in cui il rinato gruppo ebraico tranese ottiene dall’amministrazione comunale la restituzione del Tempio al suo uso originale. Grandi emozioni per gli ebrei tranesi e la convinzione di un cerchio che finalmente si chiude, di un luogo che non potrà più essere espropriato dalle vergogne della storia. Da allora la sfida, dal sapore più dolce, è quella di garantire il minian per celebrare la funzione religiosa, di dare continuità a una vita comunitaria. “Siamo stati i primi, passando per sognatori, a muoverci in questo Mezzogiorno che conta ebrei da Sannicandro a Siracusa. Eppure oggi Scolanova è lì, bella come una bomboniera, decorata di arazzi e parochet come l’hai lasciata il giorno che sei partito da Trani senza sapere che non saresti più tornato” scrive Francesco Lotoro in questa pagina ricordando il compagno d’avventura Zecchillo e la sua centralità nella commovente ripartenza dell’ebraismo tranese. Una ripartenza ufficialmente sancita dalla riapertura di questo gioiello architettonico in pietra calcarea, simbolo di un risveglio a cui l’ebraismo italiano guarda oggi con crescente interesse.
Pagine Ebraiche, luglio 2011