Pio XII – L’ambasciatore Lewy chiarisce il suo pensiero
Ampio spazio oggi sui principali quotidiani israeliani a proposito delle dichiarazioni rilasciate da Mordechay Lewy, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede che al termine della scorsa settimana, in occasione della cerimonia di attribuzione del titolo di Giusto tra le Nazioni a Don Piccinini, riferendosi alle persecuzioni antiebraiche in Italia e al coinvolgimento della Chiesa nelle operazioni di salvataggio degli stessi ebrei, aveva affermato che Pio XII e la Santa Sede “hanno prestato aiuto agli ebrei ogni volta che hanno potuto”. Parole decise, seguite da altre affermazioni concilianti verso l’operato del papa durante il nazifascismo, che hanno suscitato reazioni molto forti da parte di associazioni ebraiche che da tempo si battono contro interpretazioni storiche assolutorie su Pio XII e i suoi “silenzi”. Un tema delicatissimo per tutto l’ebraismo italiano che stato sollevato anche in occasione della recente visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma. Dopo giorni di polemiche, riprese con ampio spazio dai media israeliani, l’ambasciatore Lewy ha deciso di chiarire il suo pensiero, dichiarando quanto segue: “Considerato che il fatto di cui ho parlato è ancora oggetto della ricerca storica attuale e di quella futura, il mio personale giudizio storico sulla vicenda era prematuro”. Ma il rischio di strumentalizzazioni, specie alla luce del percorso di beatificazione di Pacelli più volte paventato dalla Chiesa, resta lo stesso molto forte come ha sottolineato tra gli altri il direttore del Simon Wiesenthal Center di Gerusalemme Efraim Zuroff sul Jerusalem Post: “Il suo intervento è stato inopportuno e storicamente sbagliato” ha commentato Zuroff. Polemiche sono arrivate anche da rappresentanze di vittime della furia nazifascista. “I sopravvissuti alla Shoah sono delusi e turbati da commenti storicamente insostenibili dell’ambasciatore Lewy. Per qualsiasi ambasciatore fare tali commenti è moralmente sbagliato” si legge in comunicato diffuso dal vicepresidente dell’Associazione dei sopravvissuti alla Shoah e dei loro discendenti Elan Steinberg. Che a farlo sia stato poi un rappresentante diplomatico dello Stato d’Israele è ritenuto da Steinberg “un fatto particolarmente dannoso”. Tra i passaggi ritenuti più controversi nel discorso di Lewy, pubblicato dall’Osservatore Romano sabato 25 giugno, quello in cui si dice che a partire dal rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre del 1943 e nei giorni successivi “monasteri e orfanotrofi, tenuti da ordini religiosi, hanno aperto le porte agli ebrei e abbiamo motivo di pensare che ciò avvenisse sotto la supervisione dei più alti vertici del Vaticano che erano quindi informati di questi gesti”. Una versione che striderebbe con la convinzione diffusa che si sia invece trattato di atti di straordinario eroismo non sollecitati dall’alto, ma piuttosto frutto del convincimento dei singoli uomini e donne di Chiesa. “Ciò che fecero numerosi religiosi cattolici aprendo le porte ai fuggiaschi ebrei lo fecero di loro spontanea volontà senza nessuna imboccata. Non ci sarebbe stato il tempo necessario e l’ordine non venne” commenta l’ambasciatore Sergio Minerbi, considerato uno dei massimi esperti nei rapporti fra Israele e Vaticano, nell’editoriale pubblicato dal notiziario quotidiano l’Unione informa.