Bil’am…
Il re Balaq aveva intuito che la guerra non si fa solo con gli eserciti e le armi. Per questo invita il profeta Bil’am a usare le sue arti magiche e religiose contro Israele, ma come sappiamo il progetto fallisce. C’è da chiedersi però il senso di tutta questa storia. Quando Abramo inizia il suo percorso, riceve un impegno divino: “benedirò chi ti benedice e maledirò chi ti maledice”. Se le cose stanno così, anche se Bil’am avesse maledetto la cosa sarebbe stata indifferente, al massimo un danno di rimbalzo per lui e il committente. Il Meshekh Chokhmà spiega che il gioco non è sulla maledizione/benedizione, ma nella guerra psicologica. L’avversario deve aver paura, tanta paura, che lo fa cedere anche se è armato fino ai denti. Per questo è necessario che anche le arti magiche si pieghino a una forza superiore. Ma Bil’am non è solo un profeta, è un riferimento per l’opinione pubblica, un ruolo che oggi, in assenza di profezia, possono avere grandi intellettuali e leader carismatici. E come si sa bene questi personaggi spesso non sono immuni dalla sollecitazione economica. Insomma possono essere comprati. E la ragione non è più quella di chi ha ragione ma di chi paga meglio. Bil’am, lo vediamo dal testo, poteva essere comprato. Avrebbero potuto comprarlo anche gli Israeliti, e chi assisteva alla scena del suo ripensamento lo poteva sospettare. Per questo, davanti agli ambasciatori di Moav, l’asina si mette a parlare. Gli intellettuali e i politici si possono comprare per parlare in un certo modo, ma gli asini, quelli veri, ancora no.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma