Le signore (più e meno note) che hanno fatto epoca

Leggere la storia nel nome delle donne riserva sorprese a non finire. Lo sapevate ad esempio che a gettare le basi del sistema sanitario d’Israele fu un pugno di giovani e coraggiose dottoresse venute dall’Europa? O che la nostra coscienza morale ha ricevuto un apporto fondamentale da quattro signore d’eccezione quali Hanna Arendt, Etty Hillesum, Edith Stein e Simone Weil che si dedicarono alla riflessione sul male? E avevate mai riflettuto sul fatto che il tradizionale ruolo affidato dall’ebraismo alle donne quali custodi della tradizione in famiglia nei secoli ha sempre avuto un contrappeso nelle donne dedite agli studi (spesso con grandi successi)? E che dire di una certa vena anticonformista e intellettuale che percorre gli animi femminili a partire addirittura da fine Settecento con l’esperienza straordinaria di Rahel Varnhagen? A queste e a molte altre donne che hanno fatto epoca è dedicato il dossier di questo mese su Pagine Ebraiche, che dall’Italia spazia all’Europa spingendosi in Israele e negli Stati Uniti per raccontare al tempo stesso alcune vite di signore d’eccezione e il senso di fare storia a partire da un’ottica di genere. Da una chiave di lettura, cioè, che non si limita a registrare date o battaglie ma entra nel vivo delle relazioni umane per esplorare quelle tra gli uomini e le donne. Ad accompagnarci in questo viaggio sono i pensieri di storiche e storici che riflettono sul significato, oggi, di una storia di genere e sul suo sviluppo nello specifico campo del mondo ebraico. E lungo il percorso non si può fare a meno di soffermarsi su alcune grandi figure di donne: dalla rivoluzionaria Anna Kuliscioff a Sara Nathan, che fu tra le principali sostenitrici di Mazzini; da Ada Sereni a donne quali Liana Millu che per prime in Italia si assunsero il doloroso compito di testimoniare la Shoah. Sono storie che schiudono mondi insospettati come le belle immagini d’epoca tratte da un’importante pubblicazione del Cdec dedicata all’universo femminile del nostro Paese. (Nell’immagine, quattro donne in posa sulla scalinata di casa Bassani a Castelluccio, in provincia di Ferrara, nel 1909).

Pagine Ebraiche, luglio 2011

La ricerca del femminile

La storia delle donna ebree, e particolarmente quella delle donne ebree in Italia, è ancora un terreno quasi completamente buio, in cui solo alcune porzioni sono illuminate da fari deboli e di portata limitata. Se questo dipenda dalla scarsa attenzione della storiografia, da una sostanziale carenza di fonti, o da una debolezza dell’oggetto stesso di ricerca, è ancora un problema aperto. Per quanto riguarda la storiografia, la maggior parte degli studi che possediamo riguardano il periodo rinascimentale, e questo per un problema più generale, cioè il fatto che una storia di genere, cioè attenta a considerare le differenze di genere, o se preferite una storia delle donne, cioè attenta a sottolineare le specificità femminili nella storia, è comunque un genere storiografico che necessita di crescere sul terreno della storia sociale e non di quella politica o strettamente culturale, e la maggior parte degli studi di storia sociale, nel campo ebraico e soprattutto in quello dell’ebraismo italiano, riguardano il periodo medioevale e rinascimentale. Per quanto riguarda le fonti, tranne casi rarissimi, come quelli delle letterate o come le voci femminili che hanno lasciato una traccia diretta nelle fonti processuali o inquisitoriali, si tratta di fonti rigorosamente maschili sia che si tratti di fonti interne comunitarie, di responsa rabbinici, o di fonti esterne, notarili o normative che siano. La voce delle donne emerge al massimo attraverso la mediazione maschile. Ed anche nel caso di testi famosi, come il Diario di Anna Del Monte, una ragazza romana sequestrata per dodici giorni nella Casa dei Catecumeni nel Settecento, forte è il sospetto che si tratti in realtà di una rielaborazione da parte dei membri maschili della famiglia, in questo caso il fratello. Siamo allora di fronte ad un oggetto storico scarsamente significativo, o ancor più radicalmente di fronte ad una storia, quella degli ebrei, in cui il criterio del genere sia scarsamente produttivo? Non credo che sia così anche se, evidentemente, ci sono dei momenti e dei contesti in cui la domanda ha più senso che in altri. Così, dei terreni assai significativi, anche se poco esplorati, per un approccio di genere, sono quello dell’emancipazione e in genere quello dell’incontro con la modernità (come si rapportano alla tradizione, nel loro incontro con la modernità, uomini e donne?), quello delle conversioni (si convertivano più uomini che donne o viceversa?), quello del lavoro e dell’autonomia sociale, quello del rapporto con la cultura religiosa e il misticismo. Ancora assai controverso, anche se il problema è stato ormai posto e continuerà certamente ad esserlo, è il tema della differenza rispetto alla Shoah, o ancora alla memoria e alla scrittura della Shoah. Più frequentato è naturalmente il terreno delle figure che escono fuori dalla norma, delle donne eccezionali (tanto per non fare che un esempio, donna Grazia Nassi), delle scrittrici (pensiamo a Deborah Ascarelli, a Sara Copio Sullam), delle donne che fra Otto e Novecento hanno avuto accesso alla politica (da Anna Kuliscioff ad Ada Sereni, dalle rivoluzionarie ebree russe ad Hannah Senesh), in un’ottica non tanto di storia di genere ma di storia delle donne, di ricerca del femminile nella storia. Credo che l’interesse vero di uno studio in chiave storica della donna ebrea sia comunque quello attento alle donne in generale, e non solo a quelle che hanno lasciato maggior traccia di sé. Ed anche in questo caso, l’interesse maggiore non è tanto quello di illuminare con un faro particolarmente potente i casi più noti, ma quello di usarli per allargare l’attenzione alla storia di tutti, ai rapporti nel mondo ebraico fra ebrei ed ebree, alle voci che hanno lasciato parlare gli uomini, lì nella società ebraica minoritaria come nel mondo esterno, nella società maggioritaria.

Anna Foa, Pagine Ebraiche, luglio 2011