Nuove domande al passato per capire chi siamo davvero
Nuove domande al passato per capire chi siamo davvero La storia delle donne non ha una storia lunga, almeno se per storia delle donne intendiamo quell’approccio del tutto nuovo nato e nutrito dal femminismo. Ma quali frutti ha portato, che prospettive ha oggi di cambiare davvero il sentire comune e il modo di fare storia? Ne parliamo con Anna Rossi Doria, tra le fondatrici della Società italiana delle storiche, che di recente ha pubblicato Dare forma al silenzio. Scritti di storia politica delle donne (Viella, 2007, 350 pagg.) e Sul ricordo della Shoah (Zamorani, 2010, 123 pagg.).
Cosa si intende quando si parla di storia delle donne?
Ci riferiamo ai nuovi studi storici che nascono negli anni Settanta negli Stati Uniti dall’incrocio tra il femminismo e la nuova storia sociale e si diffondono poi in tutto il mondo occidentale, e non solo. In precedenza le donne erano state assenti non certo dalla storia, ma dalla storiografia, specie da quando questa era stata codificata come scienza nel corso dell’Ottocento. La nuova storia delle donne nasce dal bisogno di esprimere una soggettività femminile ponendo nuove domande al passato nella chiave dell’esistenza di due sessi anziché di uno solo che si presenta come universale (l’ambivalenza della parola “uomo”, che può indicare sia il genere umano che il maschio). Ma, attenzione, lo scopo non è quello di aggiungere la storia delle donne alla storia generale che le ignora, bensì di partire dalla prima per mettere in discussione le categorie interpretative e le periodizzazioni della seconda. Lo proponeva in un articolo programmatico del 1976 la grande storica americana Natalie Zemon Davies, e l’anno seguente un’altra storica americana, Joan Kelly, pubblicava un articolo intitolato
Le donne hanno avuto un Rinascimento? Storia delle donne, storia di genere. Che differenza c’è tra queste due definizioni?
Il termine “gender” ha una storia singolare: intraducibile in italiano (forse si sarebbe dovuto dire “differenza sessuale”) perché rimanda a una distinzione grammaticale che non esiste in inglese, dove era stato introdotto dalle antropologhe per indicare una costruzione culturale in contrapposizione al termine “sex”, inteso come mero dato biologico. L’espressione “storia di genere” voleva indicare lo studio delle relazioni tra uomini e donne e non solo di queste ultime, ed ebbe grande successo dopo la pubblicazione nel 1987 di un celebre articolo di Joan Scott, Il genere: un’utile categoria di analisi storica, che non intendeva però contrapporla all’espressione “storia delle donne”, con il suo ineliminabile significato politico. Invece in ambiente accademico “storia di genere” ha finito paradossalmente con il sostituire “storia delle donne”, che evocava lo spettro di un legame con il femminismo. A evitare equivoci, penso sia opportuno usare l’espressione “storia delle donne e di genere”.
La storia delle donne ha conosciuto una fioritura straordinaria negli ultimi anni. È riuscita a modificare davvero l’approccio agli studi storici tradizionali?
Non ancora. In tutti i paesi la fioritura degli studi è stata davvero straordinaria per quantità e qualità,ma malgrado ciò la storia delle donne e di genere è rimasta in qualche modo separata, una sorta di settore sempre più riconosciuto sul piano scientifico, ma rimasto comunque a parte rispetto alla storia generale.
Le storiche italiane hanno avuto un ruolo molto importante in quest’ambito. Da cosa nasce la specificità italiana?
Innanzi tutto questi studi nel nostro paese cominciano prima dell’ondata del neofemminismo. Già nel 1963 escono due libri, Alle origini del movimento femminile italiano di Franca Pieroni Bortolotti e Le origini del movimento cattolico femminile di Paola Gajotti, che danno l’avvio a una storia politica delle donne in età contemporanea, che invece in seguito resterà minoritaria: la storia delle donne in Italia infatti si è sviluppata negli ultimi trent’anni soprattutto come storia sociale, culturale e religiosa di età moderna. Un’altra ragione della specificità italiana, legata al peculiare carattere di massa che aveva avuto il femminismo degli anni Settanta, è la nascita, precoce rispetto a quel che avvenne in altri paesi europei, di riviste e associazioni di storia delle donne: nel 1975 appare Dwf (Donna Woman Femme), rivista di women’s studies che pubblica i primi articoli di storia delle donne, e nel 1981 viene fondata Memoria, che, con il sottotitolo Rivista di storia delle donne, pubblicherà fino al 1993 una ricca serie di numeri monografici. La stessa cosa farà Genesis, nata nel 2002 e tuttora viva, la rivista della Società Italiana delle storiche che a sua volta era stata fondata nel 1989. Si noti la scelta di questo nome, anziché quello di Società delle storiche delle donne, che aveva lo scopo di indicare un’impostazione degli studi non settoriale e separata, che infatti è stata seguita nelle varie attività della Società, dai congressi (se ne sono svolti cinque dal 1995 al 2010) alle sessioni della Scuola estiva che si svolge ogni anno, spaziando, su temi molteplici, dalla storia antica alla storia contemporanea.
Se dovesse individuare alcuni elementi nuovi che la storia delle donne ha introdotto quali segnalerebbe?
Fra i molti possibili, ne indicherei schematicamente tre, fecondi sul piano della storia generale: il ripensamento della distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, indicandone confini molto più mobili di quelli tradizionali, e della connessa separazione tra storia politica e storia sociale (furono importanti in questa direzione l’articolo Cultures et pouvoirs des femmes di un gruppo di storiche francesi, apparso sulle Annales, e il convegno bolognese Ragnatele di rapporti. Patronage e reti di relazione nella storia delle donne, entrambi del 1986); la messa a fuoco, nella storia dei movimenti politici delle donne dell’Ottocento e del Novecento, del nesso e non dell’alternativa tra il principio del riconoscimento delle differenze e quello dei diritti di uguaglianza; l’arricchimento della visione complessiva dei fenomeni attraverso l’esame dei diversi modi in cui essi furono vissuti da uomini e da donne. Persino in un campo massimamente difficile come quello della storia della Shoah l’analisi della specificità femminile ha portato nuovi elementi di conoscenza generale, come mostra ad esempio il libro pubblicato nel 1998 (e tradotto in italiano nel 2001), Donne nell’Olocausto, a cura di Dalia Ofer e Lenore J. Weitzman (Le Lettere, 418 pagg.).
Matilde Passa, Pagine Ebraiche, luglio 2011