Il doppio sguardo
Mercoledì sera guardando la televisione mi sono imbattuta per caso nel documentario Gli amici del Kandy Bar di Daniel Sivan, che segue il servizio militare di quattro ragazzi israeliani dall’arruolamento al termine della leva. Per quanto posso giudicare mi è sembrato ben fatto, ma confesso di aver passato almeno metà del tempo a chiedermi: cosa vuole dimostrare? Dove vuole andare a parare? Che idee politiche avrà il regista? Credo che il pregio del documentario, invece, stia proprio nell’assenza di una tesi precostituita e nella capacità di rappresentare l’esercito israeliano così com’è, senza demonizzazione ma anche senza propaganda. Durante l’altra metà del tempo mi sono domandata perché RAI3 avesse deciso di trasmetterlo, e anche in questo caso mi sono chiesta più volte cosa volessero dimostrare. Infine, per tutto il tempo ho provato a immaginare quale effetto avrebbe potuto avere il documentario su uno spettatore italiano che non conosce la realtà israeliana: proverà antipatia per uno stato che sottrae ai giovani tre anni della loro vita? Proverà simpatia verso i quattro protagonisti? Capirà che i famigerati soldati israeliani sono ragazzi come tutti gli altri, che nel tempo libero vanno a divertirsi come tutti i diciottenni? Imparerà a comprendere le ragioni di Israele? O si fiderà di più dei propri pregiudizi e giudicherà il documentario poco obiettivo? Credo che questo doppio sguardo accompagni spesso noi ebrei della diaspora quando si tratta di Israele: leggiamo un libro, guardiamo un film e contemporaneamente ci chiediamo che effetto potrebbero avere quel libro o quel film su chi non conosce la realtà israeliana come la conosciamo noi. Qualunque sia l’effetto (e in questo caso è davvero difficile immaginarlo) credo comunque che un’informazione più diffusa sulla realtà israeliana, nei suoi pregi e nei suoi difetti, debba essere considerata un fatto positivo.
Anna Segre, insegnante