Pubblico e privato
La Gran Bretagna e i media internazionali sono travolti da uno scandalo senza precedenti: giornalisti ambiziosi e senza scrupoli hanno usato anni di intercettazioni telefoniche illegali per sfornare scoop a raffica, spesso con l’attivo beneplacito di pezzi delle istituzioni. Saltano direttori di testata, capi dei servizi di sicurezza, uomini politici, ieri ci è scappato anche il morto (come sottolineò Adriano Sofri, che strana espressione! Il morto è proprio l’unico a non scappare…).
Tutta la vicenda, al di là delle implicazioni giudiziarie, punta dritta a uno dei più evidenti problemi del nostro tempo: la scomparsa di qualunque diaframma tra dimensione privata e pubblica. Intendiamoci, questa trasformazione porta con sé anche elementi positivi: la maggiore trasparenza delle istituzioni, l’essere continuamente connessi, l’opportunità per chiunque, in qualunque parte del mondo, di denunciare un abuso direttamente dal proprio smartphone sono certamente straordinarie conquiste della modernità.
Ma al tempo stesso ci rendiamo conto di essere trasportati da un flusso delirante, quello dell’ultima notizia, degli affari altrui, delle intercettazioni superflue e voyeuristiche. I social network sono per la gran parte delle persone esattamente questo: guardare la vita degli altri dal buco della serratura, abolendo l’attimo del pensiero, con una sconcertante inflazione linguistica. L’«amicizia» al tempo di Facebook non rischia di essere umiliata? Un sentimento così nobile, forse il più nobile tra i sentimenti, non rischia di essere radicalmente e tristemente frainteso?
In un giorno come questo, in cui gli ebrei digiunano per ricordare eventi drammatici della loro storia, potremmo spendere un minuto su questi temi. L’ebraismo, che non concepisce una distanza tra pubblico e privato sul piano dei comportamenti, può dare un contributo alla riflessione su questo aspetto della modernità? In che modo?
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas