Studiare Maimonide
Molto citato, eppure poco studiato, Maimonide è una figura di rara attualità. Potrebbe offrire un significativo punto di orientamento nel caotico e spesso indecifrabile mondo contemporaneo. Sì, perché il Rambam, che tra gli ebrei arabofoni dell’area sefardita in cui visse fu chiamato Mosheh ha-zeman, «il Mosè del momento», fu un esempio, forse ineguagliato, di apertura, dialogo, sincretismo – nel senso più alto di questa parola – fra culture e tradizioni diverse. Ebreo nella vita, nel pensiero, nell’opera, dischiuse la filosofia all’ebraismo e l’ebraismo alla filosofia.
Era nato in quello che allora era un paese islamico, nella Spagna meridionale, probabilmente a Cordova, anche se non si è certi – come non si sa con precisione neppure la data di nascita. Ma nelle sue opere Maimonide usa spesso l’espressione in arabo «da noi nel Magreb». Il che fa pensare che si considerasse un ebreo andaluso. Non c’è dubbio che fosse affascinato non solo dalla filosofia greca, ma anche dalla teologia islamica di scuola ash‘arita di cui fu un profondo conoscitore. Quando però Cordova fu occupata dagli Almohadi, difensori di una interpretazione rigorista e intollerante dell’Islam, la famiglia di Maimonide, dopo aver attraversato l’Andalusia, giunse a Fez in Marocco nel 1160, per spostarsi infine in Egitto.
Manca ancora una biografia attendibile della vita di Maimonide. Un nuovo quadro è stato fornito dalla scoperta di testi delle sue lettere trovati fra i materiali della Genizà del Cairo. È stato lo studioso israelo-americano Shlomo Dov Goitein ad aver avviato una revisione della vita affascinante di Maimonide. Una delle tante domande riguarda la sua conversione alla religione islamica, scelta forzata, per così dire di passaggio, per far ritorno all’ebraismo. Conversione sì, conversione no? Difficile sostenere il no, dato che nella sua famosa «Lettera sulla conversone forzata» Maimonide scrive del «nostro peccato». Per non parlare del fatto che alcune opere – ad esempio il «Trattato sull’arte della logica» – si aprono con la formula islamica besmala (anche uno studioso come Davidson, che ha sostenuto il contrario, ammette che la conversione non possa essere facilmente smentita – pp. 17-20).
Insomma la rivendicazione delle origini, come tale, finisce per apparire una reazionaria operazione identitaria e soprattutto vuota, se non è accompagnata dallo studio effettivo. Forse sarebbe tempo di liberarsi del quadro apologetico, ancora troppo diffuso, per prendere in mano i testi di Maimonide e finalmente leggerli.
In italiano si trovano con facilità la «Guida dei perplessi» curata da Mauro Zonta (Utet 2005); «Ritorno a Dio. Norme sulla teshuvà» tradotto da Raffaele Levi (Giuntina 2004); «Maimonide un percorso verso il benessere», curato da Giuseppe Laras e Michele Tedeschi (Gem 2010) che contiene il Trattato sull’etica dei comportamenti (Hilchoth De’oth, 1170-1180) e la Guida alla salute (Hanhagath Ha-Beriuth, 1198). È disponibile anche un’ottima introduzione di Mauro Zonta (Carocci 2011).
Donatella Di Cesare, filosofa