…rabbini
Nessuno vuol più fare il rabbino in Italia, e i rabbini se ne sono accorti. I giovani ebrei, infatti, vogliono fare i giornalisti, perché l’UCEI ha investito in questo campo – e a posteriori si può anche dire che ha investito proprio benino. Ma se mancano le ‘vocazioni’ rabbiniche, non sarà perché è mancato un aggiornamento della figura del rabbino in Italia? Non sarà perché, a parte qualche rara iniziativa, non si è proposto negli ultimi sessant’anni un progetto organico vincente per una nuova formazione rabbinica, moderna, internazionale, autorevole, che attiri i giovani come li ha attirati il progetto di formazione giornalistica? I pochi casi impegnati in una seria formazione si sono trovati la strada da soli, magari andandosene all’estero per propria scelta, lontano da qui. I grandi numeri degli iscritti al Collegio rabbinico di recente propagandati sono rappresentati per lo più da studenti ‘part time’ che chissà se arriveranno mai a conclusione produttiva del loro percorso di studi. Come a dire che forse sono un puro costo, un investimento in perdita. Un investimento culturale ebraico, certo, ma a carattere locale, non destinato a incidere sulla vita dell’ebraismo nazionale. Ci si chiede allora perché sul tavolo del Consiglio UCEI non venga finalmente depositato, impegnando un po’ la fantasia, un progetto globale seriamente innovatore per la formazione di una nuova figura rabbinica. A chi spetta tentare di trovare le risposte alle domande del rabbinato se non al rabbinato stesso che le pone avendone acquisito consapevolezza? E l’Assemblea rabbinica dove sta? Direbbe un saggio – e non sono io – che l’unico modo utile di rispondere alle polemiche evitando di mantenerle sul piano astratto della speculazione sarebbe quello di fare qualcosa.
Dario Calimani, anglista