rabbini…
All’ultimo congresso dell’UCEI un aspirante giornalista è stato minacciato dal presidente di una comunità. In un’altra occasione una sua collega è stata duramente rimproverata per una gaffe professionale. Da quanto mi risulta questi sono gli unici rischi professionali corsi di recente da chi vuole intraprendere la carriera giornalistica ebraica. Non che sia un mestiere tranquillo, ma non siamo fortunatamente ai tempi delle BR o nei luoghi dove è caduto Daniel Pearl. Nessuno giudica i giornalisti per come vestono, mangiano, si divertono, hanno una vita affettiva, se studiano, se sono simpatici e divertenti, se sono rigorosi o di manica larga. I giornalisti no ma i rabbini sì. I giornalisti possono essere criticati per quello che scrivono o non scrivono, per gli argomenti di cui parlano e per quelli di cui tacciono, ma non è mai l’attenzione, la passione, la rabbia con cui si critica qualsiasi comportamento o intervento rabbinico, fatto od omesso, specialmente su temi caldi come educazione, matrimoni misti, conversioni, orientamenti sessuali. Ecco forse spiegato uno dei motivi per cui l’opzione giornalistica è da queste parti più appetibile di quella rabbinica. Un tema che ho proposto qualche giorno fa su queste pagine e che ha sollevato un certo dibattito. Fino ad arrivare alla conclusione scontata; che se di nuovi rabbini ce ne sono pochi, di chi è la colpa? Dei rabbini. Appunto.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma