…Utoya

Ho sempre pensato che gli storici sbaglino quando sono troppo precisi nel designare i nomi dei luoghi. La strage di Utoya – l’isolotto a un solo errore di stampa da Utopia – è stata in realtà concepita a Oslo e perpetrata a una distanza di non più di mezz’ora dalla capitale norvegese. Non è l’isolamento idillico che offre il contesto vero del fatto, ma semmai le sue robuste e inquietanti connessioni con la densa società urbana circostante. Confesso che, da ragazzo, per molti anni ho ignorato che Dachau – il nome di una località non immediatamente collocabile sulla carta geografica della Germania – è semplicemente un sobborgo di Monaco di Baviera. Auschwitz – un luogo inesistente dato che il suo nome sugli atlanti era Oswieçim – non è più tanto astratto nello spazio quando si sa che è non è lontano da Cracovia. Bergen Belsen è un posto vicino a Hannover, Mauthausen è prossimo a Linz. La Risiera di San Sabba non è un acquitrino in una pianura non meglio identificata, ma è una casa a Trieste. Se la storia avviene in luoghi non intuibili geograficamente, finisce per aleggiare in uno spazio avulso dal contesto, semi-virtuale, non riproducibile nell’immaginario, e perde cosí una parte importante della sua concretezza reale. Un luogo che quasi non esiste, non può avere vicini e spettatori, e non li può coinvolgere nel vedere, nel sapere, nel partecipare. Mentre un luogo vero e noto come la grande città, inevitabilmente ha dei vicini e degli spettatori – molti – che non possono non sapere, non vedere, e non partecipare. I tragici avvenimenti di Utoya, e ben inteso senza azzardare indegni paragoni, di Auschwitz, di Dachau, e di San Sabba, sono in realtà avvenuti a Oslo, e sempre distinguendo, a Cracovia, a Monaco di Baviera, e a Trieste. Vorrei che, rinunciando alla precisione ma con rude realismo, la cosa fosse chiara ai più giovani.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme