Lo studio della Torah non è mai un lusso
Nella parashà che leggeremo questo Shabbat, Devarim, e in quelle dei due sabati precedenti, le ultime del libro di Bemidbar (Matot e Mas’è), si parla dell’insediamento delle tribù di Gad e Reuven e di metà della tribù di Menashè nel territorio al di là del Giordano, molto ricco di pascoli e perciò adatto alle abbondanti greggi che essi possedevano. La richiesta venne presentata a Moshè dalle tribù di Gad e Reuven quando il popolo d’Israele era giunto al confine della terra di Cana’an, ma Moshè non ne fu affatto entusiasta e diede loro dei vigliacchi. I capi delle tribù di Gad e Reuven rassicurarono Moshè dicendogli che avrebbero lasciato solo le mogli e i bambini in Transgiordania, ma gli uomini avrebbero partecipato alla conquista della terra insieme alle altre tribù. A questa condizione Moshè si convinse e accettò di concedere a Gad e Reuven e a metà di Menashè il diritto di vivere al di fuori della terra che da allora sarebbe stata chiamata terra d’Israele. In altre parole, gli permise di vivere in Galut (diaspora).
Chi ha letto attentamente la parashà di Matot o anche queste righe avrà notato che la richiesta venne da Gad e Reuven, non da Menashè. Come mai allora anche metà di Menashè andò in Galut? La risposta ce la dà il Netziv di Volozhin nel commento Ha’ameq davar (a Devarim 3, 12-16), sulla base del Talmud Yerushalmi e dell’Avot deRabbi Natan (un commento ai Pirqè Avot). Fu Moshè stesso a chiedere a Menashè di mandare i migliori studiosi di Torah a rafforzare le tribù del Galut. Conclude il Netziv: “E così le generazioni future avrebbero imparato che è necessario sforzarsi di abitare in un posto dove si studia Torà, perché dalla Torah dipende la vita del popolo di Israele”.
Studiare la Torah è la garanzia dell’esistenza di Israele. Non è mai un lusso, “un puro costo, un investimento in perdita”, come è stato scritto su questa colonna l’altro giorno a proposito della mancanza di rabbini in Italia. Sembra che la formazione rabbinica sia diventata per molti un’ossessione e un problema di difficilissima soluzione. E invece non c’è niente di più semplice. Si vogliono più rabbini? Facile, basta aumentare il numero di coloro che studiano Torah. Al Collegio Rabbinico Italiano ci stiamo provando e il centinaio di allievi che frequentano il Collegio non sono propaganda ma reali. Perché solo avendo molti studenti, anche “part time”, si può immaginare che qualcuno di loro sia in grado e desideroso di passare a studi “full time” e che possa arrivare alla fine del percorso di studi (non proprio elementari). A quel punto potrà decidere di intraprendere una carriera rabbinica. Sembra una banalità statistica, ma evidentemente non lo è, se per l’ennesima volta siamo costretti a ripeterlo.
Compito del Collegio è fornire agli studenti lezioni per tutti i livelli, dal corso preparatorio a quello medio e superiore. Compito delle comunità e dei loro presidenti e consiglieri sarebbe incoraggiare lo studio della Torah nelle proprie comunità, in modo da favorire l’interesse dei giovani che magari potranno decidere di approfondire questi studi andando a studiare al Collegio o in altri istituti, in Italia o all’estero. E a proposito dell’estero: gli studenti del Collegio che sono andati a proseguire i propri studi all’estero non l’hanno fatto di propria scelta ma sono stati indirizzati dal Collegio stesso. Se non avessero avuto una buona preparazione di base, neanche li avrebbero presi in considerazione in Israele o in America. Per il terzo anno consecutivo abbiamo mandato per due settimane un gruppo di una quindicina di allievi delle classi di liceo/collegio di Roma e di Milano alla Yeshivat Hakotel di Gerusalemme (incluse due allieve alla Midrashà). Alcuni di loro hanno già deciso che torneranno in Yeshiva, dopo la maturità, per almeno un anno di studi intensivi. E per diversi studenti degli anni passati lo studio in varie yeshivot israeliane o americane si è protratto per due, quattro, sei anni. Se poi questi studenti/studiosi torneranno in Italia, dipenderà dall’attrattiva che le comunità ebraiche italiane (e l’Italia in generale) potranno avere per loro.
Siamo d’accordo con il professor Calimani: “L’unico modo utile di rispondere alle polemiche evitando di mantenerle sul piano astratto della speculazione sarebbe quello di fare qualcosa”. Noi lo stiamo facendo, o almeno ci proviamo. Vorremmo vedere anche i consigli delle comunità tentare di fare qualcosa.
Gianfranco Di Segni, Coordinatore del Collegio Rabbinico Italiano