paura…

Il capitolo 20 di Devarim, che leggeremo questo Sabato, parla della guerra, soprattutto in senso psicologico. La guerra non si fa solo con le armi, ma con una precisa volontà di resistere e vincere. Il cedimento psicologico dell’avversario apre le porte alla vittoria. Per questo la Torà prescrive che un Sacerdote appositamente incaricato faccia un discorso ai soldati prima della battaglia. Al verso 3 vi sono ben quattro inviti a non aver paura (il vostro cuore non vacilli, non temiate, non smarritevi, non spaventatevi), una ricchezza di espressioni, in una lingua non tanto ricca come l’ebraico, che è eloquente sulla presenza del tema della paura nella vita. La Mishnà che commenta questo brano (in TB Sotà 42a) spiega che ognuna delle espressioni si riferisce alle tecniche messe a punto per terrorizzare il nemico: i nitriti dei cavalli e il tintinnare delle spade, la percussione degli scudi e il battere degli stivali, il suono dei corni e infine le grida. E’ la descrizione di quanto avveniva nei campi di battaglia all’inizio dell’era volgare. Oggi le tecniche sono ovviamente cambiate ma la necessità di terrorizzare il nemico permane e si esprime in altre forme. Se poi si passa dall’ambito militare a quello della lotta quotidiana per l’esistenza gli aspetti più duri e brutali sfumano, ma il tema del controllo della paura è sempre presente.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma