Grass e Auschwitz

La fabbricazione di cadaveri su scala industriale, avvenuta nei lager nazisti, non ha termini di paragone e resta – che lo si voglia o no – una ignominia incancellabile nella storia della Germania. Le parole di Günter Grass non sono perciò né una banalità superficiale né un’innocua relativizzazione. È grave affermare: «i crimini portarono a disastrose conseguenze per i tedeschi, che a loro volta divennero vittime». Già nell’immediato dopoguerra la Germania è stata tentata dal ruolo della vittima. Non si tratta del diritto di raccontare la storia dalla parte dei perdenti – il che è certo legittimo. Si tratta di rovesciare i ruoli. E di farsi passare per vittime. Questo non è accettabile. Günter Grass non è nuovo, d’altronde, a prese di posizione del genere. Nel suo romanzo «Il passo del gambero» (Einaudi 2004) racconta in forma romanzata l’affondamento della Wilhelm Gustloff, la nave da crociera, silurata da un sottomarino sovietico il 30 gennaio del 1945, mentre navigava sul Baltico. Morirono novemila tedeschi in fuga dall’Armata Rossa. Non si può non provare compassione per quei civili che morirono. Ma tre giorni prima, il 27 gennaio, avanzando l’Armata Rossa era arrivata ad Auschwitz. La posizione di Grass, che proviene da una famiglia di rifugiati costretti a lasciare Danzica, non è alla fine molto diversa da quella di Martin Walser che vorrebbe affrancare la Germania dalla colpa della Shoah. In un’intervista rilasciata il 9 febbraio del 2002 Grass ha d’altronde dichiarato: «Posso capire che Walser voglia metterci un punto di chiusura, lo desidero anch’io di tanto in tanto […]. Ma Auschwitz appartiene alla nostra storia e, dunque, alla nostra identità. Il che non significa che debba essere strumentalizzata per costringere i tedeschi al silenzio» (ristampata nel volumetto «Scrivere dopo Auschwitz»). La domanda è: a quale silenzio sarebbero stati costretti i tedeschi? E da chi? Riaffiora il ruolo della vittima. Ma sullo sfondo non è difficile leggere il malumore di una nazione che ha bisogno di recuperare, tra occidente e oriente, una vecchia identità senza passare per gli ultimi decenni della sua storia.

Donatella Di Cesare, filosofa