Dieci anni dopo
Il crollo delle Torri gemelle consegnò al mondo l’immagine ostile, terribile e inedita del terrorismo islamico. La potenza delle immagini rese quell’atto patrimonio di tutta l’umanità, immediatamente in grado di cogliere la novità del momento nell’evoluzione della storia. Mentre tutto il mondo si apprestava a celebrare il decennale della strage, una folla inferocita assaliva l’ambasciata israeliana al Cairo, costringendo alla fuga i diplomatici e lasciando alcuni morti sulla strada. La violenza ha inaugurato la visita del premier turco Erdogan, che in questi giorni si reca anche in Tunisia e Libia. Rispetto a dieci anni fa la situazione appare molto diversa: se Al-Qaeda sembra decisamente più debole rispetto ad allora, si fa spazio la possibilità concreta di un Mediterraneo «primaverile» in cui la conquista democratica va sistematicamente a braccetto con l’Islam politico. Probabilmente sotto l’egida della Turchia, potenza regionale sempre più emergente.
Negli scorsi mesi le piazze arabe non hanno bruciato bandiere americane o israeliane, ma le cose diventano più incerte col passare del tempo. Per questa ragione ci troviamo a un bivio decisivo: dopo aver completamente ignorato le tensioni che agitavano questi paesi (età media 25 anni e tasso di disoccupazione più alto del pianeta), l’Occidente e Israele devono rifuggire due tentazioni opposte e ugualmente pericolose. Non vanno certamente sottovalutati i rischi delle «primavere» arabe, ignorando gli elementi inquietanti: l’ambiguità dell’Egitto, la violenza del regime siriano, l’attivismo ostile di Ankara. Ma allo stesso modo va scansato lo schema neo-con di bushiana memoria, che metteva al centro il conflitto: l’obiettivo, oggi più che mai, è quello di un Mediterraneo e di un Medioriente pacificato, in cui la cooperazione eviti le baionette e i diritti rimpiazzino gli scafisti.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas