Modestia umana e grandezza divina

Una delle differenze tra il rito italiano e gli altri è nel testo del qaddish; nell’espressione in cui si dichiara la nostra incapacità di descrivere la realtà divina, che è le’ela, “sopra” ogni formula umana, la parola “sopra” viene detta due volte nel rito italiano per tutto l’anno, dagli Ashkenazim solo nei dieci giorni di Teshuvà e dai Sefardim non viene mai ripetuta. Molto stranamente, questa doppia espressione origina da un contesto molto differente; è nel terribile brano di Devarim 28 (v.43) che leggeremo questo Sabato, nel quale c’è la lunga serie di annunci di sofferenze e punizioni per il popolo non obbediente; tra questi la crescita esponenziale ma’la ma’ala, “verso l’alto e verso l’alto”, dello straniero ostile in mezzo a noi. La traduzione aramaica è quel le’ela le’ela che poi troviamo nel qaddish; forse un modo per trasformare una prospettiva angosciante di debolezza nell’immagine, non più politica ma teologica, della modestia umana rispetto alla grandezza divina. Una consolazione di cui spesso c’è bisogno.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma