Scegli la vita
Il 10 settembre 2001 iniziavo la mia carriera di insegnante statale in un liceo della provincia dove il mio cognome non era immediatamente riconosciuto come ebraico. Mi sono dunque trovata al terzo giorno di lavoro a fronteggiare i commenti degli allievi, a caldo e senza reticenze, sugli attentati dell’11-9. Confesso che si è trattato di un’esperienza piuttosto traumatica: ancora non erano arrivate le vergognose teorie del complotto che chiamano in causa Israele, né le assurde leggende metropolitane sugli ebrei che si sarebbero salvati, ma già così molti ragazzi leggevano gli attentati come reazione al conflitto israelo-palestinese, o addirittura alla nascita stessa di Israele. Oltre a questo, però, che tutto sommato era prevedibile, ho percepito una sensibilità molto diversa dalla mia anche per alcuni aspetti non immediatamente legati agli ebrei o a Israele. Prima di tutto, un antiamericanismo di fondo, che per alcuni risaliva addirittura all’”invasione” alla fine della seconda guerra mondiale; a me non era mai venuto in mente che si potesse pensare agli americani come invasori e non come liberatori: il peso delle diverse memorie familiari si sente ancora a così tanti decenni di distanza. In secondo luogo, per me era stato assolutamente ovvio, fin dai primi momenti, pensare che in quei grattacieli o su quegli aerei avrei potuto esserci io; per i miei allievi adolescenti la cosa non era altrettanto scontata, anzi, si sentivano in qualche modo “terzi”; credo che per noi ebrei, abituati a preoccuparci per amici e parenti in Israele, l’identificazione con le vittime civili degli attentati (anche quando Israele non c’entra) sia più naturale e immediata. Infine ho notato spesso, e non solo in quell’occasione, che chi è pronto a sacrificare la propria vita suscita una sorta di ammirazione indipendentemente dalla causa per cui lo fa. E’ una suggestione che deriva dagli autori classici ma da cui non è immune neppure Dante quando salva contro ogni logica il pagano suicida Catone. Credo che si debba arrivare al Nome della rosa di Umberto Eco per trovare nella letteratura italiana l’invito a temere “coloro disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro”. La saggia diffidenza suggerita da Eco mi sembra in sintonia con le regole ebraiche, che ammettono il sacrificio della propria vita solo in casi eccezionali e rigorosamente codificati, mentre in tutti gli altri contesti è assolutamente proibito.
“Ho posto davanti a te la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli la vita, onde viviate tu e la tua discendenza” (Devarim 30, 19)
Anna Segre, insegnante