Il Glatt? Potrebbe essere taref…

Le Comunità italiane discutono infervorate su cosa è glatt e cosa è kasher. Non mi voglio chiedere perché non ci si occupa abbastanza dello stato di avanzamento degli ebrei italiani nell’osservanza di mizvoth fondamentali come l’educazione ebraica in generale e l’educazione all’osservanza dello shabbath, lo studio quotidiano della Torà, le norme del rispetto del prossimo, l’accoglienza dello straniero, l’avvicinamento dell’ebreo “lontano” ecc. E’ chiaro che è più facile occuparsi della kasheruth.
Intanto una piccola osservazione: lo stato in cui sono costretti a vivere gli animali che vengono oggi sottoposti a shechità è certamente foriero di malattie dovute allo stress e tra queste i problemi ai polmoni sono certamente i più comuni. Può darsi che una volta in Italia si mangiasse quello che viene definito halak (non ho al riguardo informazioni precise di prima mano): ma questo comunque non perché ci fosse la ricerca spasmodica del halak, ma semplicemente perché molti animali lo erano di proprio. Infatti, la probabilità di trovare un animale halak una volta doveva essere per forza di cose più alta, non fosse altro per l’ambiente in cui vivevano e per il fatto che non erano costretti a viaggi estenuanti e in condizioni igienico sanitarie immorali (per esempio, in vagoni provenienti dal nord Europa all’Italia). Solo per fare un altro esempio è facile che i polli che vengono sottoposti a shechità siano taref: costretti a ingrassare senza neanche potersi muovere, i polli hanno a volte il zometh haghidim (incrocio dei tendini) delle zampe difettoso, cosa che impedisce loro di camminare correttamente. Macellarli sarebbe inutile perché sono taref in partenza (e non sempre si ha l’accortezza, forse sarebbe meglio dire la sensibilità, di fare la verifica prima e non dopo la macellazione).
Vediamo la questione della shechità da un altro punto di vista. Accanto alla mizvà di mangiare carne di animali macellati con shechità e bedikà (visita al polmone e non solo), c’è un’altra mizvà altrettanto importante (tutte le mizvoth sono importanti!) ed è quella che impone all’uomo di non produrre za’ar ba’alè haim, cioè dolore agli animali più di quanto sia necessario. Se per trovare uno o due animali halak bisogna abbatterne una decina, stiamo mangiando halak “sulla pelle” dell’animale, cosa a mio avviso se non esplicitamente proibita, certamente da evitare in quanto confina nella trasgressione della mizvà di produrre un’inutile sofferenza a un animale. Qualcuno obietterà che gli animali che non risultano halak possono essere consumati da non ebrei: penso che nell’osservanza delle mizvoth dovremmo cercare di fare a meno di ricorrere ai gentili (se non è strettamente necessario e non penso che questo della carne halak possa rientrarvi). Un gentile può abbattere tutti gli animali che vuole, uno shochet ebreo non lo può fare per andare alla ricerca di animali halak. E’ famosa la punizione divina toccata a Rabbi Yehudà il Principe, autore della Mishnà, che rimandò dallo shochet un agnello che era andato a ripararsi sotto le sue vesti, commentando questo suo atto con le parole “per questo fosti creato”. Per volere magiare halak a tutti i costi, siamo pronti a trascurare la mizvà di zaar baalè haim: per un animale e per l’uomo che lo deve fare, quale dolore è maggiore di quello di essere shachtato inutilmente, cioè senza che sia possibile servirla sulla nostra tavola? Insomma mangiando Glatt, cioè halak, si corre il rischio di mettere in bocca della carne in un certo senso taref! (che significa “sbranata”, uccisa in maniera irrituale e quindi non kasher).
Ora ricordo benissimo che anni fa vi erano alcune persone che mangiavano solo carne halak e chiedevano allo shochet di informarle qualora nel corso della macellazione avesse trovato un animale halak. Se la risposta era negativa, queste persone aspettavano la macellazione successiva. A me sembra che questo potrebbe essere considerato un modo corretto di mangiare halak (anche se i Maestri definiscono kesil (stolto) chi accetta contemporaneamente i rigori di due scuole contrapposte come quella di Hillel e Shammai, senza fare una scelta di campo consapevole, Jalkut Shimonì Kohelet 968).
Ora l’errore a parere mio è quello di voler imporre un determinato standard a tutta la Comunità, per rispondere alle esigenze di poche persone che, in molte comunità, si possono contare sulle dita di una mano. Si dirà che queste sono le persone più “religiose”, ma per soddisfarne alcune finiamo per trascurare o danneggiarne molte altre, costrette a subire spesso un incremento indesiderato dei prezzi. Questo comportamento può essere paragonato a quello dell’insegnante che si prende cura degli studenti migliori, una minoranza, per trascurare gli altri. Un altro esempio può essere illuminante. Capita a volte di incontrare persone che sono celiache e che non possono mangiare cibi in cui ci sia glutine. A meno che il committente non sia celiaco, non penso che il catering organizzerà tutto il rinfresco per rispondere alle esigenze del celiaco invitato, ma si limiterà a mettere a sua disposizione alcune pietanze adatte alla sua dieta.
Lo stesso si può dire per il latte halav Israel: in questo caso non vi è il problema di sofferenza dell’animale, ma vi sono autorità rabbiniche di importanza internazionale che hanno permesso halav akum (cioè latte che non è stato sorvegliato da un ebreo fin dalla mungitura), quando si ha la certezza che le leggi dello Stato garantiscono la sua provenienza da mucche e non da altri animali proibiti. Nei latticini si arriva a volte a eccessi quale quello di dichiarare un formaggio “halak” (sic!), anche se è stato prodotto con caglio microbico e non animale.
A tutti questi aspetti va anche aggiunto che purtroppo la richiesta di halak e halav Israel comporta un aumento dei prezzi che non è corretto imporre a tutta la collettività.
Per concludere: la kasheruth della carne è cosa importante, tuttavia vi sono anche altre mizvoth che trascuriamo e che sono prioritarie e alla loro attuazione dovremmo dedicare maggiore attenzione: visitare gli ammalati, aiutare i poveri, educare all’osservanza dello shabbath organizzando incontri intercomunitari in cui le norme vengano applicate, accogliere lo straniero in visita nel nostro paese, invitarlo alla nostra tavola di shabbath, magari assieme a un ebreo lontano, dedicare tempi fissi allo studio della Torà ecc. Se troveremo il tempo per occuparci di questi e di molti altri aspetti sui quali qui ho sorvolato, allora potrebbe essere anche accettabile dedicarsi alla soluzione dei problemi connessi con quelli che definirei “ornamenti accessori” dell’ebraismo che, per quanto importanti, non cambieranno nella sostanza gli ebrei delle nostre Comunità.

rav Scialom Bahbout