Shalit – La scelta

Dopo oltre cinque anni e duemila giorni Gilad torna a casa dai suoi genitori; la notizia è straordinaria e, almeno per il sottoscritto, imprevedibile. Il caporale israeliano divenuto eroe e simbolo nel corso della prigionia viene rilasciato in cambio di un migliaio di detenuti palestinesi, molti dei quali rei di terribili atti di violenza, mentre il paese guarda attonito e spossato, indeciso se abbandonarsi all’euforia per la liberazione insperata o alla preoccupazione per quella che Hamas considera una vittoria militare.
Ragionare è difficile. Si è trattato di una scelta politica? Secondo me no. La politica è innanzitutto composizione di interessi diversi attraverso l’arte del compromesso più alto. Il male minore, o il bene possibile, sono l’unica opzione politicamente percorribile e dunque, in questo campo, moralmente apprezzabile. Se quindi ragionassimo usassimo queste categoria ci scopriremmo in difficoltà di fronte alla scelta delle scambio. Ma la politica si muove all’interno di un confine, quello sancito dai principi irrinunciabili. Che sono pochi, e non quelli sbandierati dai tanti atei devoti a proposito di questo o quel disegno di legge. I principi fondamentali sono i diritti umani e tra questi il diritto alla vita. Per tutelarli si abbandona la sfera della politica e con essa il parametro del male minore. Per la vita di Gilad Shalit si rinuncia al resto, persino alla sicurezza dello Stato. Un atteggiamento straordinario, che dovrebbe rendere orgogliosi tutti gli israeliani (e un po’ anche noi).

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas