Faziosità
Fra i vari commenti sullo scambio tra Shalit e i detenuti palestinesi, spicca, come autentico monumento di faziosità, l’articolo di Lucio Caracciolo apparso su la Repubblica di mercoledì 19 ottobre. Proverò a riassumerlo, anche se meriterebbe di essere riportato riga per riga.
Dunque: come affermato da un responsabile dei servizi segreti israeliani, il baratto “rafforza Hamas e indebolisce Fatah”. Da questo dato (assolutamente ovvio, che capirebbe anche un bambino), Caracciolo deduce l’esistenza di un vero e proprio ‘patto’, assolutamente solido e perfettamente funzionante, tra Israele e Hamas. E, tra le righe di questo patto, si possono leggere tre dati essenziali.
Primo: se Israele “concede al nemico 1027 probabili futuri combattenti in cambio di un proprio sottufficiale, vuol dire che si sente terribilmente più robusto”. Ed è proprio questa convinzione alla base dell’impasse negoziale tra Israele e palestinesi, perché Netanyahu non ha alcun interesse a impegnarsi su un fronte che “non considera né strategico né pericoloso”. Per lui, non c’è alcun bisogno di “risolvere la questione palestinese, che di fatto non esiste. Lo status quo va bene”.
Secondo: Hamas “è il miglior nemico possibile per Netanyahu”, tanto è vero che “è stata incentivata da Gerusalemme fin dagli anni Settanta”, per “costruire un contrappeso islamista al nazionalismo di Arafat, allora assai più minaccioso. Dividere i palestinesi per controllarli meglio”.
Terzo: la scelta dei tempi dello scambio è stata oculatamente calcolata, perché lo scenario complessivo del mondo arabo mostra un rapido deteriorarsi della situazione, sicché domani “non ci sarà più spazio per trattare, neanche sottobanco. Semmai riparleranno le armi”. E infatti, “alcuni analisti israeliani [la solita “prova del nove”! n.d.r.] considerano la mossa di Netanyahu come propedeutica alla guerra preventiva contro l’Iran”… Da tempo Gerusalemme lavora ai dettagli di un attacco ai siti nucleari iraniani. La maggioranza dell’establishment militare israeliano lo considera una follia. Netanyahu no”.
Il senso generale del discorso, e l’insegnamento di fondo che se ne trae, è che Israele può soltanto essere ammirato e invidiato, per la sua straordinaria potenza e fortuna. Protagonista assoluto del territorio, fa il bello e il cattivo tempo, con chiunque. È vero che ha molti nemici, ma non gli fanno un baffo, e si diverte a giocare con loro come il gatto col topo. Preferisce, ovviamente, i nemici “duri e puri”, che gli permettono di non smuoversi dalla sua logica esclusivamente militaresca, per cui umilia ed emargina (“tamquam non essent”) gli avversari ‘molli’, come Fatah, mentre coccola e blandisce, con occasionali regalini (tipo i 1027 liberati), quelli degni di considerazione (come Hamas). Periodicamente, è vero, diversi civili israeliani ci rimettono la vita, o lasciano per terra qualche gamba o qualche braccio, sotto i missili di Gaza, i bambini vengono bersagliati mentre vanno a scuola, e può anche capitare che un ragazzo resti sequestrato sottoterra per cinque anni e mezzo, ma queste piccolezze potranno magari turbare le anime delicate dei piccolo-borghesi, non certo i rudi politici-guerrieri di Gerusalemme. Perché, oltretutto, oltre che potente, Israele è anche fortunato, e tutto, alla fine, torna a suo vantaggio. Come il sequestro di Shalit, che ha permesso di cogliere addirittura tre piccioni con una sola fava: fare un dispetto al disprezzato Abu Mazen, premiare l’alleato di ferro Hamas, preparare l’opinione pubblica alla prossima guerra contro l’Iran (che Netanyahu – come rivelano gli “analisti israeliani” -, fregandosi le mani, si prepara a scatenare, già pregustando l’ennesimo successo, alla faccia dei pavidi e titubanti generali). E chi pensa che possa esserci, come “quarto piccione”, il piacere di avere riportato Shalit a casa, è solo un sentimentalone da libro Cuore, che non capisce un tubo di politica, e soprattutto di politica israeliana.
Che dire? Protocolli dei savi anziani di Sion, seconda edizione riveduta e aggiornata. Complimenti.
Francesco Lucrezi, storico