Qui Casale – La Torah in rima
“La rima baciata è il miele con cui somministrare la medicina, la forma che rende il messaggio biblico più appetibile per il grande pubblico”. In rima, Massimo Foa ha tradotto la Torah; ha raccontato sentimenti e delicate esperienze personali. Dietro a quel sapore velatamente ironico e a tratti infantile, si cela un espediente letterario suggestivo e coinvolgente. E Foa ne ha sfruttato la sfrontatezza per mettere in rima niente meno che la Torah, “il Libro per antonomasia, il fondamento di quel monoteismo che costituisce la base della civiltà occidentale”, ricordava l’autore in un’intervista al Portale dell’ebraismo italiano.
Questa originale opera di traduzione del Pentateuco, pubblicata a casa editrice torinese Accademia vis vitalis, è stata presentata domenica scorsa nella splendida cornice della sinagoga di Casale Monferrato. Assieme all’autore hanno partecipato all’incontro Claudia De Benedetti, vicepresidente UCEI, la professoressa Elisabetta Massera e l’attrice Lucia Carrer perché, come scrive l’ebraista Giulio Busi su Il Sole 24 Ore “le quartine di Foa si possono leggere in silenzio, ma meglio sarebbe recitarle a voce”. Alla difficoltà del testo classico della Torah, fa così posto una versione più scorrevole, ritmica e, prerogativa della rima, facilmente memorizzabile; rimane ferma la fedeltà alla scrittura originale. Così suona in Foa l’annuncio ad Abramo della nascita di Isacco: «Anche da Sara tu un figlio avrai / Abramo chinò la faccia e rise un sacco. / Sara partorirà davvero, vedrai / e poiché hai riso, lo chiamerai Isacco».
Un sorriso diverso è quello che si disegna sul volto di chi conosce la storia di Massimo Foa, nato a Cuorgnè (cittadina piemontese nei pressi della valle dell’Orco) ricordata durante l’appuntamento monferrino da Elisabetta Massera. Un sorriso melanconico per un passato di sofferenza, di crudeltà, di eroismo. Una ferita unica, privata ma allo stesso condivisa da milioni di ebrei durante l’oscurità della Shoah. Nubi in cui si intravede il raggio di speranza e solidarietà, simbolo di chi nonostante tutto, decise di mettere a rischio la propria vita per salvare quella degli altri. Per Israele, queste persone sono i Giusti tra le nazioni di Yad Vashem, ricordati simbolicamente nel Giardino di Gerusalemme con un albero. E fra i giusti italiani c’è anche Mamma Tilde che salvò il piccolo Massimo Foa dalla deportazione e dalla morte nelle camere a gas di Auschwitz-Birkenau.
Il 9 agosto 1944 Donato Foa, nato a Casale Monferrato nel 1876, il figlio ventiquattrenne Guido e la nuora Elena Recanati, di ventidue anni, vengono arrestati a Canischio, a pochi chilometri da Cuorgnè. Con loro Massimo, il figlio, neppure un anno di vita. I fascisti gli hanno scovati e catturati tutti, a tradirli una delazione. Nessun rifugio è mai sicuro di fronte alla crudeltà umana. “Donato, imprenditore metallurgico, Guido, Elena e il piccolo Massimo sono detenuti per 24 ore nella caserma Pinelli di Cuorgnè – racconta la professoressa Massera – il 10 agosto gli arrestati, caricati su un camion, sono tradotti alle Carceri Nuove di Torino. Prima della partenza Cecilia Genisio, staffetta partigiana e amica di famiglia, riesce a far pervenire ad Elena una bottiglia di latte, piccolo gesto di solidarietà tanto rischioso”. Donato e Guido vengono separati da Elena e il piccolo Massimo. La tragedia della deportazione è imminente, nella paura si fa largo la disperazione.
Per Massimo, però, la strada sta per cambiare direzione; il coraggio e la solidarietà di due donne strappano il piccolo da un destino segnato. Suor Giuseppina, religiosa in servizio presso il braccio femminile delle Carceri Nuove, riesce a nascondere il bambino tra la biancheria sporca delle detenute, che è affidata a lavandaie esterne. “Una di queste – racconta Massera – è Clotilde Roda Boggio, vedova di Cuorgnè, che non ha un attimo di esitazione , prende con sé il piccolo Massimo, e lo ospita nella sua modesta casa , consapevole del rischio mortale che affronta. Mamma Tilde ha tre figli poco più che adolescenti, Domenico, Renzo e Antonietta ; i due ragazzi sono partigiani , militano nella VI Brigata Alpina “Giustizia e Libertà”. Mamma Tilde ai curiosi racconta che il piccolo è figlio di uno dei figli, deportato in Germania”. Nonostante gi stenti, la durezza della guerra, Tilde e la famiglia Boggio si prendono cura di Massimo. Intanto il nonno, il padre e la madre vengono inviati al campo di transito di Bolzano. E’ il 27 agosto del 1944. Due mesi dopo, il 24 ottobre, la famiglia Foa viene deportata ad Auschwitz. All’arrivo Donato viene ucciso. Del figlio Guido si perdono le tracce, partito da Auschwitz per una destinazione ignota. Bergen Belsen, Braunschweig, Ravensbruk, è il terribile percorso di Elena, l’unica che riuscirà a fare ritorno in Italia nell’ottobre del 1945. “Ai primi di maggio del 1945 finalmente anche a Cuorgnè si celebra la festa della Liberazione dal Nazifascismo con una grande sfilata di Partigiani – continua Massera, presidente dell’Associazione Canavesana per i Valori della Resistenza – Mamma Tilde , in prima fila con Massimo in braccio, assiste felice e chissà quanto orgogliosa alla sfilata , tra i quali sono Domenico e Renzo, sani e salvi. Oggi un albero, simbolo ebraico della vita che affonda le sue radici nella Terra che ci ospita e protende i rami verso il Cielo, ricorda Tilde Roda Boggio nel viale dei Giusti di Yad Vashem a Gerusalemme, e soprattutto Massimo può raccontare la favola vera della solidarietà ai suoi figli e nipoti”.
Daniel Reichel