Il caso simbolo
Era ampiamente prevedibile la gioia che la liberazione di Gilad Shalit ha suscitato nel mondo ebraico; mi ha piacevolmente sorpreso invece l’attenzione che la notizia ha avuto da parte dei media italiani (i giornali radio del mattino del 18 ottobre hanno seguito le fasi della liberazione quasi in tempo reale). Sicuramente ha giocato il noto meccanismo per cui l’opinione pubblica si appassiona più facilmente al caso singolo, alla persona con nome e cognome, genitori, famiglia, amici, di cui si conosce la storia e alla cui immagine ci si abitua come a quella di un parente, piuttosto che a una massa anonima di persone di cui non si sa nulla. Anche la singolare proporzione dello scambio, uno contro 1027, ha avuto un certo peso nel catalizzare l’attenzione dei media, e forse una volta tanto ha giocato a favore dell’immagine di Israele.
Non credo che la tendenza ad appassionarsi al caso singolo debba essere considerata necessariamente un male: non solo perché è naturale (Primo Levi, che l’ha magistralmente descritta in più occasioni, ricorda che “se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere”), ma anche perché spesso il caso singolo diventa un simbolo che riassume in sé tutti gli altri casi singoli. Se Gilad Shalit è diventato il simbolo dell’importanza che Israele attribuisce alla vita di ogni suo cittadino, la sua liberazione assume un significato che va al di là del mero calcolo dei vantaggi e degli svantaggi che possono derivare dallo scambio. Su questo le opinioni degli ebrei diasporici sono variegate (e curiosamente ho notato che le critiche più aspre alla scelta del governo israeliano provenivano da chi di solito sostiene Israele senza se e senza ma), però tutte le nostre Comunità si sono unite nei festeggiamenti per la liberazione. La vittoria del caso singolo è stata giustamente sentita come una vittoria di tutti; ebrei con opinioni politiche diverse si sono ritrovati a gioire tutti insieme: forse i nemici di Israele nonostante le apparenze hanno sbagliato i conti.
Anna Segre, insegnante