Formazione e decentramento – Rav Roberto Della Rocca: “Una sfida coraggiosa per rinnovare le Comunità”

Il progetto di formazione che s’inaugura domenica 30 ottobre è la prima grande iniziativa del Centro studi e formazione. Un debutto ambizioso, che punta a coinvolgere un pubblico nuovo su temi molto attuali ma inconsueti per il mondo ebraico: una “prima grande scommessa”, come la definisce rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento Educazione e Cultura (Dec) dell’UCEI, che ha fortemente voluto l’iniziativa.
“Si tratta di un progetto – spiega – che si propone di cambiare una certa mentalità nella leadership. È dunque una sfida coraggiosa e innovativa in un contesto come quello dell’ebraismo italiano, tendenzialmente conservatore e molto istituzionalizzato, ripetitivo e per tanti versi prevedibile”.
Rav Della Rocca, da quali esigenze è nato il progetto?
Le Comunità sono cambiate ed è cambiato molto il modo di rapportarsi all’esterno, di porsi e di comunicare. Vi è dunque l’esigenza primaria di professionalizzare maggiormente i leader e gli operatori attraverso una proposta ricca di contenuti, ebraici e non solo. Bisogna attrezzarsi alle nuove sfide della società. Si deve coniugare il nostro aspetto più tradizionale con l’innovazione e per questo c’è bisogno di professionisti esterni, che non siano troppo coinvolti personalmente con i nostri vissuti quotidiani e con un occhio più critico possano indicarci e valorizzare le grandi potenzialità e risorse che contraddistinguono il mondo ebraico.
Si tratta in qualche modo di bilanciare il passato e il futuro.
L’ebraismo italiano ha in sé tante potenzialità ma per certi aspetti manca di intraprendenza e di fantasia alla base. Si deve trovare invece il coraggio di rischiare e di capire, insieme. Attraverso il confronto e la dialettica costruttiva si possono individuare quali sono oggi le necessità comunitarie, le priorità: senza fughe avanti o troppe rievocazioni gloriose del passato. Questo compito spetta alla leadership che a questo scopo deve essere formata e preparata.
Finora non vi era alcuna forma esplicita di preparazione: i leader apprendevano dal modello di chi li aveva preceduti.
Per l’Italia ebraica questo corso è una novità assoluta che proprio per questo è al tempo stesso molto suggestiva e rischiosa. Bisognerà valutare quale sarà la risposta delle leadership, quanto si lascerà coinvolgere e si metterà in gioco.
Nel definire il programma di studi vi siete rifatti a esperienze analoghe?
Abbiamo analizzato i modelli della formazione della leadership ebraica nel mondo. Altrove da questo punto di vista si è molto più attrezzati dell’Italia. Da noi rabbanim, leader e operatori si preparano sul campo. Ma ciò non basta, ci sono anche delle modalità ormai definite che possono venire insegnate. Penso ad esempio, dal punto di vista dei rabbanim, a situazioni molto delicate come il confronto con le coppie in crisi o famiglie in lutto. Non tutto può basarsi tutto sulla buona volontà e sulla motivazione del singolo o su una preparazione esclusivamente teorica.
Proporre certe tematiche significa dunque anche mettere in comunicazione l’ebraismo italiano con altri approcci.
L’ebraismo italiano soffre sia di una mancanza comunicazione all’interno sia di isolamento all’esterno. Sappiamo molto poco di ciò che accade fuori dei nostri confini. Perfino i messaggi che ci giungono sulla rinascita dell’antisemitismo in Europa si esauriscono presto. Dobbiamo intensificare il nostro dialogo con il mondo che ci circonda. E al tempo stesso si deve lavorare per riscoprire la nostra base di tradizione, un bisogno molto avvertito nelle nostre Comunità. Soprattutto dovremmo smetterla di affrontare la gestione della cosa comunitaria sulla base di priorità esclusivamente amministrative. Bisogna imparare a ragionare al contrario e adattare queste esigenze alle priorità culturali e progettuali.
Possiamo sintetizzare i contenuti del corso di formazione?
Professionalizzazione, tradizione, basi culturali, comunicazione. La scelta di un corso itinerante, che percorre l’Italia ebraica, risponde all’esigenza di decentramento sottolineata dall’ultimo Congresso e dalla necessità di avvicinare l’UCEI alle realtà meno centrali. Si vuole anche avviare uno stimolo e offrire alle Comunità una ricaduta e uno spunto verso una dimensione nuova, più interregionale. La speranza è che il corso produca un successivo e sistematico scambio di incontri, shabbatonim e altri momenti di confronto.
Perché la scelta di lavorare su gruppi mirati?
Il programma è trasversale perché, attraverso il coinvolgimento di esperti, propone argomenti comuni alle diverse fasce di leadership, offrendo a ciascuna il taglio più adeguato. Ci saranno poi dei momenti in comune tra questi diversi gruppi, per trovare momenti di sintesi in incontri dialettici comuni. Ad esempio i presidenti potranno esprimere le loro aspettative ai professionali e viceversa i funzionari delle Comunità potranno esporre il loro punto di vista ai politici cui sono affidate le scelte. Spesso nella vita comunitaria c’è una grande confusione di ruoli per cui professionali si sostituiscono ai politici e opposto. È invece opportuno che ciascuno trovi una giusta collocazione.
A chiudere vi sono a ogni tappa degli incontri culturali aperti a tutti. Per quale motivi?
Ogni modulo del corso cerca di trovare un momento, di solito di sera, in cui tutta la Comunità è coinvolta insieme a intellettuali, leader, rabbanim e operatori. Vogliamo che anche le realtà comunitarie vivano le ricadute di questa nuova iniziativa. E abbiamo scelto di farlo attraverso approfondimenti di temi nodali su cui è doveroso confrontarsi in modo aperto: la Memoria, l’evoluzione culturale, il risorgere dell’antisemitismo, il rapporto tra etica e politica o le prospettive delle edot nel mondo ebraico

Pagine Ebraiche, novembre 2011