Davar acher – Ebrei, eretici e selvaggi
Un libretto appena uscito di Adriano Prosperi (“Il seme dell’intolleranza – Ebrei, eretici, selvaggi: Granada 1492”, Laterza Editore, pp. 179, € 12) prova a ragionare sulla coincidenza dell’espulsione ebraica dalla Spagna con l’inizio del viaggio di Colombo verso “le Indie” che portò alla scoperta dell’America (di qui arriveranno i “selvaggi”) e con l’affermazione dell’Inquisizione spagnola, destinata, almeno inizialmente alla lotta contro l’eresia. Il tutto, secondo Prosperi, sarebbe motivata dalla contemporanea conclusione della “Reconquista” spagnola della penisola iberica, che avrebbe portato al progetto dello Stato moderno, forte e insofferente di differenza, e dunque in qualche modo alla modernità. Su molti punti dell’analisi di Prosperi, per esempio sulla continuità dell’antisemitismo razziale dell’Otto e Novecento dalla nozione ispanica della limpieza de sangre, o sulle motivazioni machiavelliche e per nulla mistiche di re Ferdinando, individuato come l’anima nera della cacciata, non posso che concordare. Altre cose sono note, come la violenza subitanea dell’espulsione e le terribili conseguenze che ne sortirono. La differenza fra i luoghi in cui l’Inquisizione bruciava vivi i convertiti a forza sospetti di mantenere le cuore il loro ebraismo e Auschwitz è nella quantità e nelle tecniche, non certo nel giudizio morale. Lo stesso va detto fra il razzismo del cristianesimo spagnolo e quello nazista, entrambi ricchi di “volonterosi carnefici”. Su altri temi trovo Prosperi piuttosto ideologico, in particolare nell’idea che Granada 1492 sia l’origine della modernità occidentale, che sarebbe caratterizzata dal peccato originale dell’intolleranza per il diverso. In realtà l’inizio delle stragi di ebrei risale piuttosto alle prime crociate, dunque tre secoli prima, e anche le cacciate dall’Inghilterra e dalla Francia precedono quella dalla Spagna, seppure questa sia stata assai più vasta e tragica. Né l’intolleranza fu solo europea, perché episodi di violenza antiebraica si ripeterono abbastanza spesso in quei secoli anche nel mondo islamico.
Una riflessione che tocca solo marginalmente il libro, ma che è essenziale per noi riguarda il destino degli emigrati dalla Spagna, la loro difficilissima collocazione. C’è il fatto che essi, come le vittime della Shoah, furono sorpresi senza preparazione dalla tempesta improvvisa, ebbero pochissimo tempo per cercare di salvarsi, e non seppero dove andare. Prosperi racconta delle navi respinte dai numerosi Stati che avevano già espulsi i loro ebrei e non ne volevano degli altri: per esempio Genova. Esattamente come per i fuggitivi dalla Germania e dall’Est europeo di settant’anni fa, anche per i sefarditi i rifugi erano difficilissimi, talvolta illusori come lo fu il Portogallo e i respingimenti la norma. Mezzo mondo era loro proibito, tutta la parte occidentale del continente europeo, fino a quando (quasi un secolo dopo) si aprirono rifugi come quelli di Livorno e dei Paesi Bassi. Molti luoghi che in seguito avrebbero ospitato comunità numerose e in qualche tempo integrate, erano allora particolarmente inospitali: Venezia aprì il primo ghetto nel 1516, in Germania Lutero predicava apertamente l’antisemitismo. A proposito, è appena uscita da Einaudi la nuova traduzione italiana di “Degli ebrei e delle loro menzogne” (pp. 246, € 19), pubblicato nel 1543. Ancora Prosperi, nell’introduzione a questo libro, commenta che “Lutero non è responsabile della Shoah”, il che è ovvio, perché nessuno può essere colpevole di quel che avverrà mezzo secolo dopo la sua morte. Ma è vero anche che la diffusione dell’odio e della persecuzioni non è meno larga in quel momento e nei secoli successivi in ambiente protestante che cattolico o islamico.
Riflettere su queste cose, sulle strette della storia che improvvisamente travolgono situazioni consolidate e sulla corrente secolare dell’antisemitismo che riemerge a tratti con forza devastante, è particolarmente urgente oggi. A meno di settant’anni dalla Shoah, dobbiamo prendere atto che l’idea che la memoria del genocidio e i principi liberali della democrazia ci avrebbero preservato dalla ripetizione dell’antisemitismo era illusoria. Le ricerche che mostrano la ripresa dell’antisemitismo si ripetono con desolante monotonia in tutto il mondo: in Argentina come in Belgio come in Italia (la meritoria inchiesta promossa da Fiamma Nirenstein). I pretesti per l’antisemitismo sono i più vari, essere cosmopoliti o nazionalisti, non avere una patria o averne una quando non va più di moda, essere padroni del mondo o rivoluzionari, capitalisti o socialisti. Oggi riguardano Israele e i suoi “crimini” (essenzialmente quello di esistere). Quel che dobbiamo sapere è che un cinico Ferdinando d’Aragona o un invasato nazista o un patriottico iraniano o un religioso Lutero non mancheranno mai a sanzionare l’espulsione o magari a assistere compunti ai roghi.
Ugo Volli